Non toccate le aquile e quel nero volo solenne
giovedì 18 agosto 2022

C’è un’aquila su di me, alta nel cielo, mentre scrivo. Sono in Val di Zoldo, e qui ho già visto un’aquila, forse la stessa, mentre salivo con una navetta verso la Malga Pramper: la navetta era guidata da una donna energica e imperiosa, di nome Paola, che teneva in grembo un cagnolino docile docile, con la testa abbassata, e raccontava a tutti che qualche settimana prima, alla malga, mentre camminava con quel cagnolino, un’aquila era piombata dalle nuvole con la velocità di una bomba, aveva afferrato la bestiolina con le unghie e ad ampie falcate se la portava in cielo, ma la bestiolina si ribellava abbaiando e mordendo ovunque poteva, finché l’aquila spalancò gli artigli e la lasciò cadere e volò via con grande sbattimento di ali, ma senza preda.

La Paola era convinta che l’aquila ci avrebbe riprovato, perciò teneva il suo cane in grembo. Non me ne intendo di aquile. Può darsi che siano abitudinarie. Seguo con gli occhi questo volatile alto su di me e naturalmente mi viene in mente Carducci: «Ma dai silenzi dell’effuso azzurro / esce nel sole l’aquila e distende / in tarde ruote digradanti il nero / volo solenne».

Capisco cose che non avevo mai capito. L’aquila viene introdotta con un «ma», dunque segna un’opposizione: c’è tutto quello che c’è, ma ecco l’aquila, che cambia tutto. L’aquila esce nell’azzurro e nel sole, perché l’aquila crea l’azzurro solare. «Distende il volo» perché è calma, ha la potenza e l’altezza con sé. Dove c’è un’aquila, tutto il resto è più basso e meno potente. L’aquila non può essere nostra, in casa nostra, sul nostro tavolo. Pochi giorni fa un gruppo enorme di forestali e carabinieri (quaranta più dieci, oggi sono nella stessa famiglia) hanno arrestato nel Trentino-Bellunese un gruppetto di bracconieri, che aveva ucciso un’aquila reale. Per darmi più dolore, il giornale che pubblica la notizia mette la foto dell’aquila reale.

M’ha sempre incuriosito il becco dell’aquila, perché non è fatto come un pugna-le, bello dritto, ma come una piccozza, curva a rampino: con quel becco l’aquila non penetra ma sbrana. Quel bracconiere che ha ucciso l’aquila reale la voleva tutta per sé. Guardo quest’aquila alta su di me e mi chiedo di chi è, a chi risponde, perché esiste. Cos’è. Non è mia, è di tutti, quelli che esistono adesso e quelli che esisteranno domani e dopo. È dei nati, dei nascenti e dei nascituri. Se io da qui con un fucile sparassi a quell’aquila che ruota su di me e la tirassi giù, farei una rapina alle generazioni future.

Non è soltanto bello, è anche giusto, e vorrei dire armonioso, che l’aquila distenda il nero volo solenne, e scavalchi i monti e sparisca oltre l’orizzonte: così il mondo resta completo. Chi ha ucciso quell’aquila e la tiene in casa ha dato una coltellata al mondo e ne ha strappato via un brandello. L’aquila su di me scavalca i monti e sparisce. Non la vedo più, ma sono contento.

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