venerdì 22 giugno 2012
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Tra la grave crisi econo­mica e la (meno grave) congiuntura calcistica, si è inserito un fatto singolare, per certi versi imbarazzante. Intellettuali impegnati, uomini politici, del mondo dello sport e del giornalismo, riscoprono, ed esaltano, le radici classiche e greche della cultura europea, il contributo di Atene alla nascita dell’idea democratica, la grande filosofia greca che ha fondato il pensiero razionale, senza il quale l’Occidente e il mondo come sono oggi non esisterebbero. I giudizi di valore che riempiono pagine intere dei quotidiani (anche qui ci si è ragionato su più volte, e appena ieri, alla sua bella maniera, è tornato a farlo Ferdinando Camon) sono spesso condivisibili. L’Europa non può abbandonare la Grecia, che è stata la sua culla politica e culturale. Da Solone viene la lotta alla tirannide, da Pericle la spinta alla democrazia, dalla polis quell’idea di libertà che anche Hegel riconosce essere alla base della modernità. Socrate con la sua saggezza, Platone con le sue intuizioni e i suoi ideali, Aristotele con il suo metodo sistematico elaborano quel pensiero che, filtrato dalla Roma classica, poi cristiana, è alla base della nostra razionalità. Nell’arte greca è la fonte del bello e dell’estetica che l’Occidente ha saputo sviluppare successivamente nella classicità romana e nella secolare trasfigurazione dell’arte cristiana. Poi, alle evocazioni culturali si sono aggiunti giudizi calcistici, più lievi e opinabili, seppur divertenti. Nella partita di oggi tra Grecia e Germania quasi tutta l’Europa (qualcuno ha scritto: il mondo) tiferà per la squadra di Atene perché combatterà quella Germania che appare «padrona dell’euro», «occhiuto controllore senza pietà», ed è stata spesso causa dei grandi disastri dell’Europa. Con prosa impegnativa ci si augura che gli eredi umiliati della grande civiltà greca superino sul campo di calcio quel divario che li separa dai potenti che si permettono di trapassare i deboli. Manca poco per individuare nella partita degli Europei 2012 una nuova rappresentazione dell’armaghedon (Ap, 16,16), come lotta definitiva tra il bene e il male. È tutto giusto, quasi romantico, ma con un serio limite. Il tema delle radici d’Europa, dopo essere stato respinto e rifiutato come inutile e ridondante in momenti storici decisivi, ritrova oggi uno spazio improvviso, un revival inaspettato, quando si è di fronte a tematiche serie come quelle economiche, e ad argomenti più futili come il tifo calcistico. Tutti ricordiamo che la proposta di richiamare le «radici cristiane d’Europa» trovò forti opposizioni, fino a essere silenziata, quando figure rappresentative del Vecchio Continente discussero e decisero della Costituzione europea, incerti se inserirvi il riconoscimento delle fonti religiose e culturali del nostro vivere civile. Si opposero intellettuali, alcuni politici, giornalisti, altri tacquero, non dissero nulla. Eppure sappiamo tutti che dal cristianesimo è derivata la più grande corrente spirituale della storia europea e occidentale, che ha completato e valorizzato l’eredità classica di Atene e di Roma, ha proclamato l’eguaglianza tra gli uomini prospettando la libertà da ogni tirannia, ha spinto gli uomini ad alzare gli occhi al cielo, per obiettivi spirituali ed etici che avrebbero arricchito la coscienza, prodotto leggi più giuste. È Paolo che da Gerusalemme va ad Antiochia, poi ad Atene a parlare del «Dio ignoto», e a Roma per diffondere con Pietro il messaggio di una religione universale fondata sull’amore del prossimo, sull’ammirazione per l’opera di Dio, amplificando così l’immagine dell’homo faber. Queste radici cristiane, insieme a quelle laiche e umanistiche, uniscono da secoli l’Europa e possono indirizzarla verso scelte giuste anche nell’epoca attuale, farla entrare in rapporti fecondi con altri popoli e culture, tenendo ferma la propria identità, aperta a ogni contributo positivo. C’è da temere che un argomento così impegnativo, riproposto oggi nel rivendicare le radici greche per difendere il Sud povero contro il Nord ricco d’Europa, perfino per augurarsi la vittoria della Grecia negli Europei di calcio, possa essere strumentalizzato e svilito nel gioco delle parti degli interessi e delle divisioni più o meno serie tra i diversi Stati. In ogni caso, non è mai troppo tardi per tornare sui propri passi, riflettere su ciò che deve farsi perché l’Europa torni a unificarsi attorno ai valori della propria tradizione da cui ha avuto inizio il cammino spirituale e civile che ci ha portato ai giorni nostri e che resta alla base di ogni nostra conquista.
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