sabato 2 gennaio 2010
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È, questo, l’editoriale più difficile da scri­vere, collocato com’è su un crinale da cui si diramano gli orizzonti di due anni. Da un lato, ci si affaccia sulla valle dei gior­ni ormai finiti, non di rado archiviati col timbro del pessimismo, quasi fossimo sempre in presenza di un annus horribi­lis. L’ironico 'Dizionario del diavolo' del­l’americano Ambrose Bierce non aveva e­sitazioni. Alla voce 'Anno' recitava: «Pe­riodo fatto di 365 delusioni». D’altro lato, si allarga la pianura dei giorni futuri sui quali cade, invece, la retorica degli auguri che spargono ottimismo e certezza di fe­licità e prosperità. Su questo crinale mi avventuro anch’io per condividere, però, coi lettori solo poche e semplici riflessioni. Lo spunto della prima me lo offre un cantautore che tutti cono­scono, Claudio Baglioni: «A volte più che di un mondo nuovo, c’è bisogno di occhi nuo­vi per guardare il mondo». Siamo spesso afflitti da una sorta di daltonismo spiri­tuale; il nostro sguardo non è più abilitato a cogliere la ricchezza dei colori; indossia­mo lenti scure che ci mostrano solo l’om­bra della storia, immaginandola soltanto sotto il segno del male, della perversione, della negazione. Ignoriamo che, accanto all’egoismo, all’indifferenza e alla vacuità di molti, c’è una folla di persone che si de­dicano silenziosamente ai miseri della ter­ra, attraverso un volontariato sempre più generoso. Ci sono chiese e comunità che assumono anche su di sé il carico della cri­si che attanaglia tante famiglie. È quel be­ne – come ha detto Benedetto XVI – sul quale non si puntano mai i riflettori del­l’informazione. C’è un altro pensiero che vorrei condividere coi lettori di Avvenire. Essi hanno ragione di indignarsi nei con­fronti della corruzione pubblica e privata che anche lo scorso anno si è ben attesta­ta sulla scena mediatica, oppure di sbuffa­re davanti a una politica così litigiosa e in­concludente. Certo, speriamo che un ri­torno di saggezza si manifesti e si insedi nei palazzi del potere politico ed econo­mico, anche sulla base degli appelli del pre­sidente della Repubblica, di tanti pastori e persone stimate e oneste. C’è, però, un’ul­teriore necessità primaria che riguarda quello che potremmo chiamare il ritmo del respiro della vita sociale. « Per compiere grandi passi, non dobbiamo solo agire, ma anche sognare; non solo pianificare, ma anche credere » . Era lo scrittore Anatole France a suggerirlo nell’Ottocento, ma l’i­dea è forse più adatta alla situazione o­dierna in cui un po’ tutti – e non solo i go­vernanti o i protagonisti della vita pubbli­ca – ci siamo assuefatti al piccolo cabotag­gio, all’interesse privato, al vantaggio e al­la sicurezza personale o di gruppo. Clint Eastwood in un suo film aveva questa bat­tuta ironica: «Se vuoi una garanzia a tutti i costi, allora comprati un tostapane!». Nella scuola, nella famiglia e talora persi­no nella religione ci si accontenta sempre più del minimo comun denominatore. Sappiamo, però, che quando ci si abitua alle piccole cose, si diventa incapaci delle grandi. Ecco, infatti, l’incombere dei luo­ghi comuni, il rinchiudersi a riccio nella propria cerchia, il timore per gli orizzonti vasti che si aprono, l’assenza degli ideali, la caduta della ricerca della verità e dei va­lori permanenti. Per essere veramente uo­mini e donne bisogna coltivare sempre un sogno, un progetto, una fede, non rasse­gnandosi alla banalità, alla bruttezza, al grigiore, alla sopravvivenza. La stessa cura del creato, generatrice di un’armonia sere­na, a cui ci ha rimandato ieri il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della pa­ce, partecipa di questo respiro più alto. Giungiamo, così, a un’ultima riflessione un po’ scontata. Ogni nuovo anno è una por­zione di tempo che ci è offerta. E proprio perché il tempo non è 'infinito' come l’e­ternità, ha in sé la stimmata della fine e, di­ciamolo pure (anche se questa parola è og­gi esorcizzata), può avere in sé anche la morte. L’augurio che, allora, vogliamo pro­porre a noi e a tutti è quello che ci ha la­sciato un grande pensatore come il cardi­nal Newman: «Non aver paura che la vita possa finire. Abbi invece paura che non co­minci mai davvero».
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