Si fan sempre più numerose le scuole che aboliscono i voti in numeri decimali e usano i giudizi in parole. Quindi non più “7” ma “discreto”, non più “4” ma “scarso”. Dicono che un giudizio negativo espresso in parole è meno umiliante, per il ragazzo, di un numero decimale basso, e che il ragazzo è spinto a migliorare un giudizio psicologico- culturale che lo penalizza, mentre di fronte a un numero basso e secco si blocca. La mia esperienza però mi parla di esami di maturità (dove è sempre stato proibito esprimete un voto in numeri sui compiti scritti, che bisognava correggere e valutare prima degli orali) nei quali noi commissari non riuscivamo a fare a meno dei numeri, perché i numeri sono chiari come il sole, mentre i giudizi in parole sono elastici e adattabili.
Ne ho viste di tutti i colori, con i colleghi commissari che volevano mettere il voto in numero sotto un compito, ma temevano la visita di qualche ispettore dello Stato, che poteva capitare in qualsiasi momento e vedendo un voto in numero sotto un tema potevano invalidare tutto il tuo lavoro. Ho visto commissari che mettevano il voto sotto forma di lettera dell’alfabeto. E perché un eventuale controllore dello Stato non se ne accorgesse, non seguivano l’ordine del nostro alfabeto (“e” uguale a 5, “f ” uguale a 6…), troppo facile da scoprire, ma inventavano un ordine segreto, noto a loro soltanto. Ricordo un commissario che aveva inventato una parola di 10 lettere, ognuna diversa dalle altre, e usava le lettere di quella parola. Questa parola era “microfante”. Chi può sospettare che la “o” sia uguale a 5?
Fare gli orali ai ragazzi avendo davanti agli occhi i giudizi sugli scritti espressi in parole e non in numeri, è come camminare dentro una nebbia così densa che non ci vedi a un metro: non sai dove metti i piedi. Mi ricordo che, a suo tempo (perché questo è un dibattito antico), fu posto il quesito, “giudizi o numeri?”, al presidente degli psicanalisti italiani, che era Cesare Musatti, e Musatti rispose: «Numeri». Perché? «Perché – rispondeva Musatti - davanti a un giudizio come “insicuro e incerto”, la famiglia non capisce, ma davanti a un “4” le è tutto chiaro». Insomma: i numeri sono più chiari. Sul giudizio che riceve il figlio, a casa parlano padre e madre, ed è importante che capiscano. Quando consegni ai ragazzi i compiti in classe che hai appena corretto, e loro vengono uno alla volta alla cattedra a prendersi ciascuno il proprio tema, subito, già tornando al banco, danno un’occhiata al voto. Si dirà che le pagelle con i voti stabiliscono gerarchie e causano stress.
È vero, ma non generano le gerarchie, bensì le riconoscono, perché le gerarchie son generate dalla comprensione, dall’intelligenza, dal possesso della lingua. E che cos’è un brutto voto? È uno stimolo a migliorare la comprensione, l’intelligenza, il possesso della lingua. Se voi, professori, provate a far dare i voti ai ragazzi, sentirete come sono responsabili, precisi e scrupolosi, e lo apprezzerete.