don Angelo Gornati, Limbiate
Caro don Angelo, la sua lettera è giunta sul mio tavolo lo stesso giorno in cui un grande quotidiano nazionale titolava in prima pagina: «Berlusconi, spuntano altre ragazze / e il giornale dei vescovi lo attacca». E anche ieri lo stesso giornale è tornato ad argomentare con solerzia ancora in prima pagina e sempre a partire da ciò che su Avvenire era stato pubblicato. Lei mi dice che è sgomento per il nostro silenzio, mentre altri, prendendo al volo le nostre parole, ci fanno addirittura gridare. A chi devo credere? Per come sono fatto, credo a lei, e cerco di capire che cosa mi vuol dire. Non mi costa farlo, e non mi costa immaginare che cosa passa per la mente dei nostri preti in una stagione in cui la scena pubblica offre spettacoli niente affatto confortanti. Sono loro in trincea e più di tutti sanno quanto costa rappresentare alla gente le esigenze della vita cristiana. Eppure, proprio perché mi immedesimo nella sua delusione, don Angelo, non posso rinunciare a dirle come vedo le cose. E cioè che Avvenire non è stato zitto. Ha parlato sul tema a più riprese: con un fondo di Rossana Sisti, con un secondo fondo di Gianfranco Marcelli, con un terzo intervento di Piero Chinellato, infine con una mia risposta collettiva ad alcune lettere, che è il testo da cui ha attinto Repubblica per fare il titolo di cui dicevo. Vede, per i media nazionali la posizione di Avvenire è inequivocabile, glielo posso assicurare. E lo stesso mi sento di dire per i nostri Vescovi: sia il presidente cardinal Bagnasco sia il segretario generale monsignor Crociata hanno colto le occasioni pastorali che si sono presentate per prendere posizione in modo netto sul piano dei contenuti come della prassi. Chiunque è stato raggiunto dai loro interventi ha capito quello che si doveva capire: alla comunità cristiana tocca tenere alto il contenuto della fede, e non cedere a compromessi. Avvenire ha dato puntualmente conto di entrambe le loro prese di posizione. Per questo, pur con tutto il garbo possibile, non me la sento di accogliere la sua accusa di «convenienza». Non solo mi sembra ingenerosa, ma anche ingiusta. Provi a immaginare che cosa avrebbe fatto lei se nel Comune in cui opera si fosse presentata una situazione moralmente critica come quella nazionale. Avrebbe parlato chiaro, da prete, o avrebbe organizzato la dissidenza? Immagino che avrebbe fatto fino in fondo il prete. Che è, se ci pensa bene, esattamente la linea seguita dai Vescovi. Quanto agli immigrati, lei loda il pronunciamento dell’episcopato lombardo e ringrazia il suo arcivescovo, il cardinale Tettamanzi. E fa bene. Se, poi, avesse tenuto presente quanto il presidente della Cei aveva articolatamente detto a proposito della politica migratoria in occasione dell’assemblea generale dei Vescovi, non avrebbe colto divaricazioni. La cultura è naturalmente la stessa e anche l’approccio pastorale alla questione è il medesimo. Avvenire è stato zitto anche su questa tematica? Davvero difficile da sostenere e da dimostrare. Forse non s’è pronunciato in termini 'da scomunica' verso quanti operano in direzione opposta all’accoglienza. Ma lei crede che le parole grosse aiutino a convincere chi condivide e asseconda certe battaglie della Lega? Si sbaglia, don Angelo. Noi, rispetto ai problemi che pone l’immigrazione, dobbiamo parlare e muoverci in maniera da non perdere per strada la nostra gente, e non regalarla a posizioni culturali di chiusura. Dobbiamo invece con lucidità e lungimiranza continuare a tessere quello spirito comunitario che, per natura sua, è anche e necessariamente inclusivo. La saluto.
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