Neanche una telefonata. O, per usare il vocabolario dei social, neppure un messaggino, un video, un post. L’emblema della solitudine sono gli anziani “parcheggiati” nelle case di riposo senza nessuno che li vada a trovare. I vecchi magari ancora autonomi cui si regala un cellulare che però non squilla mai. Sembra quasi che gli anni trasformino le persone in soprammobili, in carillon cui uno scherzo venuto male ha tolto la musica.
E dire che fino a pochi mesi fa ci venivano a prendere a scuola, accompagnavano i nipotini in piscina, preparavano la torta più dolce che c’è, «ma non dirlo a mamma». Tutto sbiadito, avvolto nel fumo di un motore del tempo che corre troppo veloce per stargli dietro, rendendo miope lo sguardo di futuro, che a osservarlo con onestà è azzurro ma con profonde striature di grigio.
Le statistiche dicono infatti che il mondo di domani, almeno il nostro pezzo di mondo, avrà le spalle ancora più curve di quelle già stanche di oggi. In Italia, nel 2050, recita la solita formula matematica, una persona su tre avrà oltre 65 anni, cioè il cancello immaginario che fa entrare uomini e donne nel sentiero della terza età.
Imparare a conoscerlo, farci qualche passo dentro dovrebbe essere normale, come guardarsi in uno specchio che – prodigio! – ci dice come saremo anche noi. A breve o un po’ più in là. Molti in verità già lo fanno, in tante famiglie vivono anziani coinvolti da protagonisti nelle scelte quotidiane, cui si chiede consiglio nelle difficoltà, depositari di una sapienza maturata immergendosi nella quotidianità concreta.
Per loro la Giornata dei nonni e degli anziani del prossimo 24 luglio sarà solo un modo per vedersi confermati nel ruolo che occupano da sempre. E il Papa nel suo messaggio lo spiega molto bene; nella vecchiaia daranno ancora frutti. Vuol dire non lasciarsi sopraffare dalla nostalgia o dalla debolezza spirituale, ma coltivare la premura che insegna a dedicare tempo alle persone più deboli, far crescere la compassione verso chi rischia di cadere nella disperazione.
Per spiegarlo, Francesco usa l’immagine della rivoluzione della tenerezza che si “combatte” solo con il cuore disarmato, imparando a vedere l’altro come un fratello o un compagno di viaggio, mai come un avversario, tantomeno un nemico. Anzi, proprio la fragilità può diventare un valore, uno strumento per crescere in umanità, che poi è anche la cifra, la “scala” per avvicinarsi a Dio. Ecco allora la scelta della Penitenzieria apostolica di legare la Giornata di luglio alla possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria. Si tratta, come più di qualcuno sa, della remissione totale della pena temporale «per i peccati, già perdonati quanto alla colpa», spiega il Catechismo.
Non un castigo, naturalmente, ma, sottolinea Francesco, «l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri». L’indulgenza ripara quella ferita, cancella l’alone di negatività, accelera gli effetti del cammino di conversione. Libera la strada dai fossi che potrebbero rallentarci. Per godere di quei vantaggi spirituali, oltre alle consuete condizioni (Confessione, comunione eucaristica, preghiera secondo le intenzioni del Papa), ci vuole partecipazione: (in presenza o in collegamento) alla celebrazione presieduta da Francesco il 24 luglio o alle altre funzioni in programma nel mondo.
Ma c’è di più. Alle regole tradizionali la Penitenzieria aggiunge la visita «in presenza o virtualmente, tramite i mezzi di comunicazione» ai «fratelli anziani bisognosi o in difficoltà». Perché, come scrive il Papa, andare a trovare una persona sola avanti con gli anni, «è un’opera di misericordia del nostro tempo».
Significa consegnare ai vecchi un posto centrale nella costruzione del mondo futuro. Quasi un trampolino per alzarsi in alto e a da lì guardare oltre le piccinerie che appesantiscono il nostro andare. È riconoscere che il Signore affida loro il compito di aiutare gli adulti di domani, a fare e a purificare i propri sogni. Vuol dire andare a fondo della parola misericordia che, come dice Victor Hugo nei Miserabili citando re Salomone, è il più bel nome di Dio. E per ricordarlo va bene anche una telefonata, un messaggino. Al limite un post sui social. Purché condiviso, a patto che sia un modo per dire: ci sono, sto con te.