Il tasso di fecondità di un Paese, e in generale la sua vitalità demografica, può essere considerato un indicatore economico attendibile: la dinamica di una popolazione è in grado di dire se una nazione o un Continente stanno vivendo una fase di sviluppo, oppure se si stanno preparando ad affrontare un contesto tendenzialmente recessivo. Da questo punto di vista il quadro che emerge da un rapporto del Global Burden of Disease pubblicato sulla rivista 'Lancet' dovrebbe indurre a una certa preoccupazione la parte del mondo che oggi si considera più ricca.
In quasi la metà dei Paesi, infatti, 91 su 195, il tasso di fecondità totale si trova sotto il livello di 2,1 figli per donna, la cifra che consente di mantenere almeno stabile la popolazione. Solo in 104 nazioni la fecondità permette invece alla popolazione di aumentare. In sostanza mezzo mondo si sta lentamente spegnendo da un punto di vista demografico, con un numero di nonni che supera i nipoti, mentre l’altra metà è in vitale espansione. La tendenza globale è nota, ma mai prima d’ora era stata fotografata così dettagliatamente a livello locale.
Il rapporto mostra che dal 1950 al 2017 la popolazione nel mondo è più che triplicata, salendo da 2,6 miliardi ai 7,6 attuali, mentre il tasso di fecondità si è dimezzato, passando da 4,7 a 2,4 figli per donna. In questo processo in cui – per fortuna – le nascite da madri adolescenti diminuiscono e la mortalità declina, l’età media nel mondo è salita da 26 a 32 anni, sei in più. In sostanza i tassi di fecondità si stanno abbassando ovunque, a mano a mano che si diffondono lo sviluppo e l’istruzione, tuttavia la popolazione mondiale continua a crescere a causa soprattutto dell’aumento dell’aspettativa di vita, e questa tendenza dovrebbe proseguire fino al 2050, quando la terra, secondo le stime delle Nazioni Unite, ospiterà 9,7 miliardi di persone.
Quello che più deve interessare non sono però le cifre generali, ma come questo processo si sta manifestando, e con quali squilibri. Nel 1950 l’Europa e l’Asia Centrale "fornivano" un terzo della popolazione mondiale, oggi la loro quota è scesa a un quinto. Tra i Paesi più colpiti dall’"arretramento" demografico ci sono Italia, Spagna, Portogallo, Norvegia, Corea del Sud, Stati Uniti, Australia, Giappone. Le aree più vitali si trovano nell’Africa Subsahariana, in America Latina, in Asia meridionale, Medio Oriente, Caraibi. Gli estremi sono rappresentati da Cipro, dove il tasso di fecondità è di un solo figlio per donna, e Niger, con 7,1 figli. Cosa succederà nei prossimi decenni a fronte di una popolazione terrestre che invecchia e aumenta con spinta così disomogenea? Difficile fare previsioni, perché il numero di nati e di morti deve confrontarsi sempre anche con la dinamica delle migrazioni.
Tuttavia per i Paesi con più nonni che nipoti, e per quelli come l’Italia dove la popolazione diminuirà del 17% da qui al 2050 (è il record negativo nell’Ue), non è difficile prevedere che la lotta per contrastare la crescita del debito e le spinte recessive sarà molto più ardua, e che le scelte di politica pubblica saranno più difficili. Come si è visto l’infelice circostanza può conoscere punte estreme, ma di fatto interessa gran parte del mondo sviluppato. In questo senso le tensioni che stanno emergendo in molti Paesi in declino demografico, dal dilagare dei nazionalismi al populismo che diffonde odio, possono essere viste non tanto in termini di risposta programmatica a un problema, ma come la reazione di un mondo al quale incomincia mancare l’ossigeno e a restringersi drammaticamente la visione del futuro.