La scoperta di Sébastien, sopravvissuto al Bataclan Una settimana dopo, l’eco delle stragi di Parigi invece che smorzarsi è fra noi vivissima, e duratura. Ci ha lasciato negli occhi, il venerdì 13 novembre, insostenibili immagini di una città delle nostre, precipitata in guerra; e di uomini e donne che, sottratti a una spensierata sera di weekend, sono morti in un istante. Più di tutto pesa come il piombo il ricordo del Bataclan, di un concerto come mille altri, di quelli cui i nostri figli vanno; e il sapere che quei ragazzi li hanno fucilati ad uno ad uno, in una folle esecuzione, ci è perfino più intollerabile che se una esplosione, deflagrando, avesse posto termine alle loro vite, senza lasciare il tempo di capire. Ma dalle rovine di quel teatro parigino emergono le poche parole di un ragazzo, Sébastien, che era fra gli ostaggi, e che si è salvato. Una emittente francese, radio Rtl, lo ha intervistato e poi le sue parole hanno preso a diffondersi per il web (riprese anche sul nostro giornale). Racconta dunque, questo Sébastien, di come i terroristi nella sala, davanti alle prime vittime agonizzanti, spiegassero agli atterriti prigionieri che era scoppiata la guerra, la guerra del Daesh, l’autoprolamato 'Stato islamico'. E con i kalashnikov puntati sul petto quelli, increduli, stavano a ascoltare - forse pensando di essere dentro a un incubo, e che presto si sarebbero svegliati. Ma non è un sogno. Sébastien tenta di fuggire, lo riprendono. Il dialogo con i jihadisti è interminabile, e sempre, addosso, quelle armi da guerra lucenti, lubrificate, pronte a fare fuoco sotto al dito nervoso di quei ragazzi - ragazzi, già, ragazzi come i prigionieri. E finalmente l’atroce sogno finisce, Sébastien con altri è libero, riesce anche a salvare una donna - mentre decine e decine di compagni restano inerti, nel sangue, sul pavimento della sala. E tu che cosa hai imparato, gli chiede l’intervistatore, che cosa hai capito in quelle terribili ore? Io, risponde Sébastien, «oggi capisco che ogni attimo che passo con le persone che mi sono care, è un dono, è una benedizione. Ogni semplice momento della vita fa parte delle cose più belle che abbiamo, e non ce ne rendiamo conto. Se non quando ci capita una specie di elettrochoc, come quello che io ho vissuto. Ho l’impressione di essere nato una seconda volta. E voglio essere capace di gustare questa nuova vita, che mi è stata offerta». Parole dette quasi a bassa voce, nel fiume in piena delle parole di terrore, di dolore, di paura che il venerdì di Parigi ci ha rovesciato addosso, e che quasi ci sommergono. Eppure quelle poche frasi di un ragazzo che era andato a un concerto, in una sera come tante, paiono avere la densità di un metallo pesante e prezioso. «Ogni attimo con i miei cari è un dono». Nel fondo del terrore, paradossale, si apre una tenue luce: la coscienza di quale benedizione sia essere nati, essere vivi, amare. Come è sembrato chiaro in quegli istanti, col fiato della morte sul collo, come è sembrato evidente, che la vita è uno splendido dono. E io, che non me ne ero accorto, sembra di leggere fra le parole di questo sopravvissuto - lo stupore di chi si batte una mano sulla fronte, costernato: ma come ho fatto, fino ad ora, a non vedere? Già, la paura di una morte imminente, di un incidente sfiorato, o una diagnosi che ci cade addosso, pesante come piombo, possono aprirci gli occhi: la nostra vita è una grazia appesa, apparentemente, a un nulla - sospesa, siamo certi noi, alla volontà di un Altro. La nostra vita è bella anche se ci sembra dura; bella di ogni suo istante, dall’aprire gli occhi al mattino, all’abbracciare i nostri figli, al borbottare sulla fatica del lavoro, all’addormentarci, la sera, accompagnati dal rumore fedele del nostro respiro. Scoprire che dono è vivere, nel fondo dell’inferno: questo è toccato a Sébastien e a altri come lui, che venerdì sera, infine, sono tornati a casa. Potessimo anche noi, che siamo stati a guardare e abbiamo sofferto e tremato con la gente di Parigi, potessimo anche noi, dal fondo di quell’inferno che forse non è finito, trarre almeno questa consapevolezza: vivere, in ogni semplice istante, è un dono. Bisogna ricordarselo, e essere grati. Che grazia sarebbe, ogni mattina, aprire gli occhi come questo Sébastien che dice: io sono nato di nuovo. Che grazia sarebbe, guardare al mondo ogni giorno con lo stupore della prima volta.