Le culle sono vuote, questo è un fatto. Un fatto triste e sconfortante che ha ripercussioni sociali, economiche, psicologiche, affettive. Le motivazioni sono tante e tanto diverse tra loro. Occorre avere il coraggio di fermarsi, guardare negli occhi la realtà e chiedersi che cosa fare. Agli Stati Generali della Natalità, Giorgia Meloni ha detto tra l’altro che “se una donna è costretta a scegliere tra maternità e lavoro non è libera”. E potrebbe, quindi, optare per l’aborto solo per mancanza di alternative. Affrontare il problema non dovrebbe essere troppo difficile. Basta volerlo. Le risorse e le idee non mancano. Poi: «La maternità non è in vendita, l’utero non si affitta». Non è dignitoso né per le donne né per i nascituri. L’utero in affitto è un obbrobrio. Papa Francesco: «Solo i più ricchi possono permettersi di fare figli». Ecco che sotto i nostri occhi, secoli di lotte per i diritti umani vanno in fumo.
Occorre pianificare una cultura della vita che vada incontro, concretamente, ai bisogni della famiglia. Occorre pensare a città e villaggi a misura di bambini. La vita è bella. Sempre e dappertutto. Si vive una volta sola. Non sempre l’arrivo di un figlio porta gioia, sovente, è motivo di tristezza e angoscia. La donna incinta vive un tempo unico, comunque vada. Un tempo che segnerà la sua esistenza, comunque vada.
Riguardo al dramma dell’aborto, la legge 194 è chiara. L’Italia è un Paese che tutela la vita, ma che lascia alla donna in attesa l’ultima parola. Tutti siamo d’accordo nell’affermare che “l’aborto è un dramma”. Proprio per questo occorre fare di tutto per impedirlo. Eppure la prima parte della legge 194, quella che chiede di correre in aiuto alla donna in difficoltà per permetterle di portare a termine la gravidanza, non sempre viene osservata. O, almeno, non dappertutto. Il problema vero è che tante donne, impaurite e incerte sul da farsi, restano del tutto sole. È possibile, allora, oltre a tutelare i diritti individuali della donna, avere uno sguardo di misericordia e di pietà anche verso il bambino che porta in grembo? Certamente. Allora facciamolo subito.
Non è un orribile peccato di omissione – per chi crede – o un altrettanto orribile menefreghismo – per chi si dice miscredente – trattare questo delicatissimo argomento alla stregua di una partita di calcio dove le due squadre si guardano in cagnesco? Nel momento in cui - dopo essere stati accanto a una donna in attesa in preda al panico, dopo averla sostenuta nei mesi più difficili della gravidanza, dopo aver con lei sofferto e sperato - una vita nuova, bella, scoppiettante, arriva a rinnovare il mondo, non è una vittoria per tutti? I figli non sono solo la gioia di chi li mette al mondo ma patrimonio dell’intera umanità. Solo chi è accecato da preconcette ideologie, davanti a un pargolo che succhia alla mammella può restare indifferente. Il bimbo che piange in una culla appartiene a tutti. La bella affermazione “chi salva una vita salva il mondo intero” vale anche in questo caso.
Sono un prete. La mia è una testimonianza di prima mano. Nell’anno appena passato, senza clamori, nel più assoluto riserbo, almeno una dozzina di bambini sono nati grazie all’aiuto dei nostri volontari. Sono vivi, sani, belli. Sgambettano, mangiano, sorridono. Un immenso dono fatto all’Italia. E sono la gioia dei genitori che, in un momento di paura e si stanchezza, stavano decidendo la loro eliminazione. Alcuni furono “acciuffati per i capelli” all’ultimo momento. L’intolleranza verso i Centri di aiuto alla vita nelle Marche è del tutto ingiustificata e inopportuna. Sa di vecchio. Di stantìo. Di ideologici egoismi di parte. Stiamo parlando della vita nascente non dei semi da piantare a primavera. Se un solo bambino – grazie all’aiuto della società veramente civile - viene alla luce, tutti abbiamo il diritto e il dovere di fare festa. Non ha vinto un antipatico avversario, ha trionfato la vita.