Davide Cerullo
Il 18 dicembre 2005, un gruppo di balordi faceva irruzione in una pizzeria a Napoli per punire chi il giorno prima si era rifiutato di servire ai quattro delle birre in automobile. Giuseppe Riccio, pizzaiolo di 26 anni, cercò di fermare il raid punitivo e pagò il suo gesto con la vita. La sua morte provocò una sollevazione che vide unite in una manifestazione anticamorra istituzioni e tanta gente. Un ricordo che accentua l’amarezza per quanto lei ci riferisce. Qui non è in gioco solo la memoria di una persona ammirevole, Giovanni Riccio, che compì il gesto semplice eppure straordinario di non girarsi dall’altra parte e di reagire alla prepotenza, pagando per questo un prezzo terribile, perdendo addirittura la vita. A finire nell’immondizia con quella targa non è la memoria di Giuseppe, che rimane adamantina, ma quella di quanti a Napoli hanno scelto o si sono rassegnati ad essere specchio dei propri "bassi" più desolati. Tante volte si è evocata la necessità di un soprassalto, uno scossone che dimostri la volontà di non sprofondare nella "Gomorra" desolata dell’infamia. Come non ricordare le recenti parole del cardinale Sepe, all’inizio dell’Avvento: «Questa città, nella quale sperare non dovrebbe essere più un lusso o, peggio ancora, un rischio, bensì lo stimolo per progettare e realizzare il bene comune, vorremmo vederla "rivestita delle armi della luce"». Che questo possa finalmente realizzarsi dipende anche dai napoletani: è stata rimossa l’immondizia dalle strade, ma non è stata cancellata quella che soffoca tanti cuori e che continua ad aggredire le istituzioni. Il Natale però rinnova la certezza che nulla è irredimibile: la pace resta promessa a tutti gli uomini «che Dio ama». A noi la responsabilità di testimoniarlo. Con l’augurio più vivo alla signora Riccio, a lei e a tutti i napoletani: provvedano a riscattare il proprio onore ricollocando la targa in memoria di Giuseppe e, seguendo il suo consiglio, magari, il Comune gli dedichi davvero una strada.
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