Caro direttore, in merito al ddl Cirinnà vorrei fare un paio di osservazioni: 1) si dice che una norma sulle unioni civili sia necessaria dopo la sentenza n. 138/2010 della Consulta; ma allora è doveroso ricordare che con la sentenza n. 358/1995 (di ventuno anni fa!) la stessa Consulta, riguardo al sistema di tassazione familiare, affermò che «il legislatore non dovrà consentire ulteriormente, per rispetto ai princìpi costituzionali indicati e ai criteri di giustizia tributaria, il protrarsi delle indicate sperequazioni in danno delle famiglie monoreddito e numerose». Mi pare che siamo ancora lontani da una effettiva riforma del sistema fiscale nel senso indicato. Il bonus da 80 euro è un aiuto ai lavoratori, ma non tiene conto dei carichi familiari, e talvolta viene negato in modo beffardo ai nuclei monoreddito (allorché il reddito supera la soglia-limite del bonus ma magari è inferiore a quello complessivo di una coppia bireddito, nella quale tuttavia entrambi i coniugi riescono singolarmente a fruire del bonus). Perché le indicazioni di una sentenza di sei anni fa (su una materia controversa, ove si è manifestata una forte contrarietà del Paese reale) dovrebbero trovare applicazione con precedenza rispetto a una sentenza di ventuno anni fa (che tra l’altro riguarda una platea di potenziali beneficiari ben più numerosa)? 2) Si dice che tale norma darebbe “diritti” a qualcuno senza togliere alcunché a nessuno. A parte tutte le osservazioni che si potrebbero fare sulla “svalutazione” che tale disegno di legge arrecherebbe al matrimonio costituzionale, osserviamo per un attimo il solo onere economico: l’art. 23 del ddl Cirinnà prevede che a regime esso avrà un costo pari a 22,7 milioni di euro annui. Con tale cifra si potrebbe, ad esempio, finanziare un rimborso spese per le adozioni internazionali: ponendo un costo ipotetico “base” di 5.000 euro, si avrebbe un tangibile sostegno per 4.540 adozioni. Tra l’altro il problema dell’onere finanziario pone la questione in diretta connessione con il primo punto da me esposto. In definitiva, mi pare che quest’iniziativa parlamentare – peraltro densa di problematicità costituzionale sia nel merito che nel metodo – rappresenti un ulteriore segnale di avversione alla famiglia, che in questi tempi di crisi ha invece mandato avanti con grandi sacrifici il nostro Paese. Cordiali saluti e buon lavoro.
Alberto Baroni, Perugia Grazie per la sua acuta riflessione, caro signor Baroni. Non le nascondo che la sua prima osservazione è quella che trovo più convincente. Come abbiamo scritto infinite volte in questi anni, è incredibile e ormai intollerabile che continui la clamorosa ingiustizia fiscale a carico delle famiglie monoreddito numerose nonostante la sentenza della Corte costituzionale che chiese nel 1995 e ancora chiede di intervenire in modo risolutivo a chi ci governa e fa le leggi. Mi viene da dire che il problema sta nel fatto che in questo caso nessun giudice si è sognato sinora di fare riferimento a normative di altri Stati per “importare” nel nostro ordinamento agevolazioni o diritti di assistenza e sostegno a queste famiglie altrove pacificamente e saggiamente riconosciuti… Non le sembri bizzarra questa annotazione polemica. Se ci ritroviamo, sulla scorta di una sentenza costituzionale del 2010 che ha detto “no” ai matrimoni gay e indicato la via della regolazione nonmatrimoniale delle unioni omosessuali, ad auspicare una legge ben congegnata sulle convivenze tra persone dello stesso sesso è perché stiamo appunto assistendo, mese dopo mese a una progressiva “importazione” per via giudiziaria nel nostro ordinamento di istituti e “diritti” (compresa l’adozione del figliastro, la cosiddetta stepchild adoption) che in Italia non sono previsti come tali o sono esplicitamente vietati. Penso in particolare alla legittimazione di “acquisti” di figli in Stati – lo scrivo con fatica e con una sofferenza che non passa di fronte ai nuovi casi di cronaca di cui diamo conto anche oggi sulle nostre pagine – che consentono di usare a pagamento corpi di donna per “farsi fare” uno o più bambini o bambine. Per questo serve un argine definitivo e insuperabile, che civilmente impedisca, d’ora in poi, il ricorso alla disumana pratica mercantile dell’utero in affitto e del commercio di gameti umani (che non riguardano solo o prevalentemente persone omosessuali, anzi la maggioranza dei casi vede protagoniste coppie eterosessuali). Se non si pone fine a questo “lasciar fare, lasciar andare”, lo ripeto ancora una volta, ci si rende complici di gran brutti affari e di veri e propri misfatti soprattutto contro i bambini e le donne. Insomma, caro amico, direi che da cittadini abbiamo bisogno di una doppia svolta positiva. Che, senza confusioni, dia a ciascuno il suo, e che rispetti davvero la famiglia “costituzionale”. Marco Tarquinio