La nave della ong spagnola Open Arms - Ansa
Il processo Salvini-Open Arms va oltre le polemiche di parte e le reciproche accuse di ingerenza tra politica e magistratura. Pone in realtà una questione etico-politica di grande rilievo, quella della contrapposizione tra difesa dei confini nazionali e obblighi di accoglienza umanitaria.
Qualche premessa è d’obbligo, per collocare il caso nella sua giusta luce. Gli ingressi spontanei di migranti non equivalgono all’immigrazione irregolare. Per due motivi. Anzitutto, gli immigrati irregolari (si stima, ma con poche basi, circa 500.000 in Italia, forse due milioni nell’Ue), entrano in molti modi, ma perlopiù regolari: sono turisti che si trattengono oltre i termini del loro visto, studenti che abbandonano i corsi universitari, parenti in visita che non rientrano in patria, persino pellegrini all’estero. Soprattutto, sono cittadini dei circa 50 Paesi a cui l’Italia non applica l’obbligo del visto, per soggiorni inferiori ai 90 giorni: dall’Albania all’Ucraina (già prima dell’invasione russa), passando per Brasile, Moldova, Montenegro. In secondo luogo, chi sbarca e chiede asilo, benché sia entrato illegalmente, entra in un sistema di protezione. Finché non si conclude l’esame della sua domanda esaminata, è un soggiornante legale, sebbene soggetto a limitazioni. Può studiare e lavorare, dopo due mesi dalla domanda. Soltanto dopo tutti gli accertamenti del caso, i pronunciamenti delle commissioni prefettizie, eventuali ricorsi e decisioni dei giudici, chi non viene riconosciuto come rifugiato e non viene rimpatriato diventa un soggiornante irregolare. Ma nell’Ue circa il 50% dei richiedenti ottiene lo status di rifugiato, in Italia (fino al decreto Cutro) il tasso oscillava tra il 40 e il 50% in prima istanza, e raggiungeva il 70% tra quanti presentavano un ricorso. Di conseguenza, il legame tra sbarchi e immigrazione non autorizzata è labile e interessa una modesta componente del fenomeno.
Espressioni roboanti come «colpevole di aver difeso l’Italia e gli italiani» cozzano contro questi dati fattuali: impedire lo sbarco di qualche decina di naufraghi ha ben poco a che fare con la protezione della sicurezza del Paese. Un bersaglio ben visibile e identificabile, i migranti sulle navi umanitarie, viene elevato a simbolo di un fenomeno che si vorrebbe contrastare, ma che per vari motivi finisce di fatto per essere endemico. Tra questi motivi spicca il fatto che la maggioranza degli immigrati irregolari, per quel che emerge per esempio dai dati sulle sanatorie, non sono giovani maschi africani, ma mature signore provenienti dall’Europa Orientale e impiegate nelle case degli italiani.
Anche il facile accostamento tra immigrazione irregolare e terrorismo va sottoposto a verifica fattuale: sono pochissimi i casi in cui gli attentatori provenivano dal circuito dell’asilo, e magari ad anni di distanza dall’arrivo, molti di più quelli in cui erano immigrati di seconda generazione, o erano soggiornanti legali a vario titolo. Compresi gli attentatori delle Torri Gemelle. Colpisce inoltre la disumanizzazione dei diretti interessati: gruppi di persone salvate in mare, tra cui donne e bambini, vengono dipinti come falangi di un agguerrito esercito invasore, in grado di portare una minaccia esiziale al Paese in cui sbarcano. Non siamo lontani dall’immagine dell’“arma ibrida”, adottata per giustificare i respingimenti di altri civili inermi sui confini orientali dell’Ue.
Sebbene oggi nell’Ue la confusione tra ingressi non autorizzati e immigrazione irregolare, tra difesa della sicurezza e respingimento delle persone in cerca di asilo, stia acquisendo un seguito sempre maggiore, va ribadito il principio, costituzionale ed europeo: il diritto d’asilo, dunque di entrare in un altro Paese per chiedere protezione, quale che sia il modo, è un valore universale che non può essere limitato dalla sacralizzazione dei confini. Allo stesso tempo, le leggi del mare obbligano a soccorrere e accogliere nel primo porto sicuro chi scampa a un naufragio. Quale che sia l’esito della vicenda giudiziaria del ministro Salvini, questa misura minima di umanità va salvaguardata senza deroghe e cavillosi distinguo.