La fase acuta della pandemia di Covid–19 che ha sconvolto le nostre vite qui in Italia sta lentamente passando. Come in altri momenti di questa terribile vicenda è forte la contrapposizione all’interno del mondo della scienza, in questo momento specifico sono soprattutto due le fazioni che si fronteggiano, c’è chi, dati alla mano, si dice certo che il virus abbia perso di forza, e che non tornerà più con la violenza con cui ci è venuto addosso in questi mesi, e chi, con altri dati alla mano, avverte che non è il virus ad aver perso di pericolosità, ma sono i nostri comportamenti – dal distanziamento fisico alle mascherine a tutto il resto – ad averlo messo all’angolo.
Lo vedremo sulla nostra pelle chi ha ragione. La speranza, ovviamente, è che le nuove ondate di Covid–19 previste dall’Organizzazione mondiale della sanità non ci siano o che lo stesso si riduca a un raffreddore, niente di più.
A velocità diverse, una per ogni regione del nostro Paese, stanno ripartendo tutte le attività produttive, anche in questo caso, come per il mondo scientifico, le contrapposizioni sono forti, ci sono governatori che vorrebbero andare di corsa verso un pieno ritorno alla normalità, altri che predicano prudenza. Lo schema è lo stesso. Sarà il tempo a dirci chi ha ragione. Chi torto.
In mezzo a questo vociferare contrapposto, e spesso scomposto, aggravato da disorientanti faide scientifiche, tutto sommato educate rispetto a quelle politiche, rimbomba il silenzio di una voce, su tutte. La voce di chi sa tradurre il dolore in bellezza, di chi con le proprie mani trasforma la sofferenza presente in memoria condivisa, nei secoli. In Italia non si sente più la voce dell’Arte. Perché la pandemia che ci ha sconvolto ha fatto qualcosa di peggio che travolgere la nostra economia. Ha compiuto un massacro. E i massacri vanno ricordati. Onorati. Vanno offerti alle generazioni che verranno attraverso gli alfabeti del sublime, in opere che, dentro altra forma, continueranno a raccontare quel che è stato.
Dove sono gli artisti nel nostro Paese? Dove sono i Picasso dopo il bombardamento di Guernica? I Burri dopo il terremoto del Belice? Dove sono tutti i piccoli e grandi architetti che diedero vita alla costruzione di tutti i Memoriali in ricordo dei caduti delle due guerre, a partire dal nostro Altare delle Patria? Alcuni diranno che l’arte ha perso questo ruolo, che è divenuta categoria merceologica destinata alle élite, null’altro, ma ora più che mai se ne sente la mancanza. Perché soltanto l’arte possiede il dono della rievocazione, della materia che rende plastico, tangibile il ricordo, e tutti i sentimenti che vivono in esso.
Ma non esiste arte, né artista, senza un mecenate che lo accolga e lo inviti a esprimersi. In questi mesi il presidente del Consiglio e i suoi colleghi ministri insieme a tanti i governatori di Regione sono divenuti familiari a tutto il popolo italiano. In mezzo ai pensieri e alle preoccupazioni che avete rispetto alla ripartenza dell’economia, sacrosanti, domandatevi pure come poter perpetuare la memoria di quel che è stato, perché il vostro nome non rimanga soltanto legato a questa o quella manovra, ma che sia saldato per sempre alla bellezza di un gesto divenuto opera. Un gesto che ridisegnerà il vostro e nostro tessuto urbano, e umano, che sorgerà per diventare nel corso degli anni un luogo familiare ai figli e ai nipoti. Un luogo di bellezza e memoria. Creato da voi.
Da parte degli artisti, e dei politici, ci vuole grandezza. Perché di questo si parla. La grandezza di una visione da avverare. Attraverso lavoro e talento. Questo è accaduto per millenni nella storia. Questo, drammaticamente, non accade più negli anni che ci sono dati da vivere. Generare nuova arte, fare delle tragedie, come questa pandemia, una bellezza da togliere il fiato.