Caro Avvenire,
preferirei che il Santo Padre tenesse per sé certe espressioni come «la Madonna postina», che non offendono certo la Madonna, ma offendono quanti credono nei messaggi di Medjugorje, ai quali cercano anche di adeguare la propria vita. Si tratta in ogni caso di messaggi né eretici né negativi, e, anche se si trattasse non di rivelazioni, ma di semplici locuzioni interiori, non fanno certamente male. Ciò che mi fa più male è l’amplificazione che il vostro giornale dà anche a queste espressioni, e in genere a tutte le espressioni del Papa, senza alcun senso critico, senza la capacità di dare voce a chi non si allinea al pensiero papale. Non ho ancora visto su “Avvenire” un articolo che si distanzi dignitosamente su certe posizioni – come per esempio sui migranti (e sulle Onlus che speculano) – posizioni esorbitanti, invadenti la sfera politica che non compete al papato. Trovo “Avvenire” privo di autentica libertà, intendo dire libertà interna alla Chiesa. Forse avete una certa libertà rispetto alle altre testate, rispetto ai temi sui quali la società secolarizzata non si ritrova, ma avete scelto una parte, quella che potremmo chiamare impropriamente “progressista”, quella tutta votata alla carità, quando non addirittura soltanto alla costruzione di questo mondo. Alla fine portate avanti un pensiero di élite, ma non il sentire della gente. Buon lavoro.
Caro padre Zoppi, come vede “Avvenire” è sufficientemente libero da pubblicare questa sua lettera, sebbene sintetizzata perché molto lunga. Come tutti ormai sanno sull’aereo che da Fatima lo riportava a Roma il Papa ha parlato del rapporto della commissione Ruini su Medjugorje, e, come già in passato, ha mostrato di avere seri dubbi sulla ripetizione quotidiana di messaggi mariani ai veggenti. Per quanto riguarda le prime apparizioni, il Papa ha detto ai giornalisti che bisogna ancora investigare. Poi ha affermato che il nocciolo della questione è quello spirituale-pastorale, quello delle conversioni, «che non si può negare». Lei, padre, come altri si risente per l’accenno, del resto non nuovo, alla Madonna ridotta a «capo ufficio telegrafico». Tanti, dice, credono nei messaggi di Medjugorje, e vi adeguano la vita. Sul web rumoreggia infatti un coro di voci arrabbiate di persone che, dovendo scegliere fra Medjugorje e il Papa, non hanno dubbi: scelgono Medjugorje. Ma a queste persone, che in certa misura sono anche lettrici di questo giornale, mi verrebbe da chiedere, fraternamente: prescindete per un momento dalla verità o meno delle apparizioni e dei messaggi di Medjugorje, sui quali la Chiesa ufficialmente non si è ancora pronunciata. Pensate per un attimo di dovere farne a meno. Che cosa vi resta? Crollerebbe, in questo caso, il mondo, per voi? Voglio dire, la vostra fede è fondata sulla incarnazione, la morte e la resurrezione di Cristo, o su che cosa? È fondata sul Vangelo e ancorata a Pietro, la roccia, vicario di Cristo in terra e capo della Chiesa, o su cos’altro? Certo, da uomini abbiamo bisogno di “toccare” con la mano, e le apparizioni mariane riconosciute dalla Chiesa aiutano i cristiani in questo senso: vengono loro incontro, maternamente, nella concretezza del tempo e nella durezza della vita. Ma le nostre fondamenta sono in Cristo, nato fra gli uomini da una donna, messo in croce, sepolto e tornato dalla morte. In Cristo sta la nostra speranza. O forse per qualcuno i messaggi dei veggenti di Medjugorje non rischiano di diventare un secondo, un altro Vangelo? Il punto dunque è chiedersi in chi e che cosa si crede, veramente. Poi, si può continuare ad andare a Medjugorje, se lo stesso Papa dice testualmente: «Il fatto spirituale, il fatto pastorale, gente che va lì e si converte, gente che incontra Dio, che cambia vita... Per questo non c’è una bacchetta magica, e questo fatto spiritualepastorale non si può negare». Il punto dunque è il senso della Chiesa, che cosa sia veramente la Chiesa, e di quale parte veramente ne siamo noi. Quanto alla seconda parte della sua lettera, padre Zoppi, il direttore risponderebbe molto meglio di me. Io posso solo dirle che la Chiesa non è un partito con le sue minoranze, la Chiesa ha come sua guida Pietro, il successore di Pietro, ed è un po’ strano accusare un giornale d’ispirazione cattolica di seguire il Papa. Anche su questioni che secondo lei esulano dal papato, come i migranti. Ma è certo che il dramma e spesso la tragedia che si consumano ogni giorno fra il Mediterraneo e i Balcani siano faccenda che «esula dal papato»? O non è invece quella del Papa, e di coloro che materialmente salvano e assistono i migranti, la più alta testimonianza umana e cristiana, in un’Europa immobile e distratta? Questo votarsi alla carità, in un mondo sempre più fatto di muri, per lei è “progressista”? O non è invece che il Papa ci sta richiamando a qualcosa di molto più grande? Ha detto Francesco, intervistato mesi fa da Civiltà Cattolica: «La Madonna vera è quella che genera Cristo nel nostro cuore, che è Madre». La Madonna, che sa ogni dolore perché assistette alla agonia di suo figlio, la Madonna che di ognuno ha una infinita pietà, e non può farci voltare la testa, e non vedere gli abbandonati e gli ultimi – anche quelli che affogano stanotte, nel nostro mare.
Aggiungo due righe, caro padre, e non perché possa risponderle «molto meglio» della mia collega e amica Marina Corradi, che infatti ha detto da par sua l’essenziale sui suoi addebiti di merito. Voglio dirle che apprezzo la sua franchezza, ma non il suo giudizio. E me ne dispiace. E le confermo, per la responsabilità che porto, che la scelta di stare accanto al Papa è da quarantotto anni e mezzo un caposaldo della «linea politica» di “Avvenire”: siamo cattolici e stiamo con il Papa. E oggi ascoltiamo e seguiamo davvero papa Francesco, cercando di tenerne il passo: confortati, scossi, affascinati, provocati e impegnati dal suo esempio e da una parola profonda eppure vestita di semplicità. Lo ascoltiamo sino in fondo, il nostro Papa, non a pezzetti. E siamo conquistati dalle sue scelte così forti, esplicite e chiare di dialogare con tutti e soprattutto con i fratelli di fede nel Risorto, di riconoscere e amare nei poveri la «carne di Cristo» e di essere «davanti e in mezzo» al nostro «popolo in cammino». (mt)