Alberto Marliani, Scandicci (Fi)
È proprio di questi giorni la notizia che, in Gran Bretagna, sta prendendo piede l’abitudine di fare e ricevere regali, oltre che per le nozze, anche nell’occasione del divorzio. La fine di una famiglia diviene pretesto di «festa» e di congratulazioni. Ho dei dubbi sulla sincerità di questa allegria, ma siamo comunque dinanzi a un altro colpo al «prestigio» sociale del matrimonio. Se la sua rottura può essere esibita con allegria, che senso ha proporre alle nuove generazioni valori come dedizione reciproca, fedeltà, sacrificio, perdono? Eppure, come lei giustamente rileva, caro Marliani, senza queste attitudini – che non sono doti infuse, ma virtù che vanno coltivate con perseveranza (e, per quanto riguarda i credenti, alimentate con la preghiera) – l’amore si degrada inesorabilmente. E i guasti prodotti non rimangono circoscritti ai protagonisti e alle persone più direttamente coinvolte, ma si dilatano con raggio sempre più allargato, fino ad avvelenare i pozzi della convivenza civile, impoverendo e rendendo più precarie e fragili le nostre comunità. Non serve neppure richiamare questo o quell’esempio: purtroppo non c’è giorno in cui la cronaca ci risparmi i riscontri, più o meno clamorosi. Noi, ricordiamoci che il sopportarsi e il sostenersi a vicenda fa parte della promessa d’amore scambiata assieme agli anelli nuziali, in cui la «cattiva sorte» non è composta solo dalle avversità economiche o di salute. E non dimentichiamo che grazie all’aiuto di Dio sappiamo qual è la direzione giusta e abbiamo le forze per camminare, ma per percorrere quella strada c’è bisogno della nostra libera volontà e del nostro impegno.
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