Caro direttore,
il dibattito in corso sulla maternità surrogata e la «miglior tutela dei minori» richiede una necessaria premessa. Desiderare un figlio non richiama un diritto. Ma è diritto di un bambino avere una famiglia. La questione bioetica, e non solo, verte su questo complesso intreccio a cui “Avvenire” sta dedicando approfondite riflessioni. Alcuni interrogativi sono, infatti, ineludibili. La relazione madre gestante-figlio può essere contrattualizzata? La gestazione è un’unità feto-placentare oppure è una irriducibile e singolare unicità interpersonale? È eticamente legittimo delegare ad altri la relazione tra generato (figlio) e gestante (madre) durante la gravidanza (maternità)? Gestazione per altri (Gpa), gestazione solidale, dono del grembo, utero in affitto, utero in prestito, madre gestante su commissione, madre intenzionale, gestazione di supporto, gestazione di appoggio. Un lessico non certo indistinto che richiama antropologie ed etiche. Fino all’antilingua di un linguaggio falsificato, una cortina fumogena di vocaboli. Sostanzialmente una donna mette a disposizione il proprio utero e porta avanti la gravidanza per conto di commit-tenti, che possono essere singoli o coppie, eterosessuali (nella prevalenza dei casi) e omosessuali. Ed è coinvolta una pluralità di persone: donatori di gameti (ovociti e spermatozoi) o di embrione, persona o coppia committente e la “gestante per altri”.
L’orizzonte bioetico è, nella effettività delle procedure, principalmente quello dell’utilitarismo e del contrattualismo. Funzionali alle intenzioni dei committenti. Strumentali all’ottenimento di un altrui fine attraverso un contratto tra adulti consenzienti. Posizioni antitetiche rispetto alla indissociabilità, della generatività, tra biologico umano e personale.
La Corte costituzionale ha ribadito il divieto di ricorrere alla maternità surrogata. Secondo una logica di tutela della dignità della donna e che mira anche a evitare i rischi di sfruttamento di chi è particolarmente vulnerabile perché vive in situazioni sociali ed economiche disagiate. E il giudice è chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione di riconoscimento del figlio naturale concepito mediante surrogazione di maternità valutando comparativamente l’interesse alla verità e l’interesse del minore. Sempre la Consulta ha indicato al legislatore in via esemplificativa gli ambiti entro cui intervenire: dalla riscrittura delle previsioni sullo status filiationis a una nuova tipologia di adozione che garantisca tempestivamente la pienezza dei diritti dei nati.
A tutt’oggi, comunque, è previsto il riconoscimento del minore attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari. Vale a dire che, pur vietata in Italia la maternità surrogata, è in capo al magistrato decidere caso per caso.
Il tema è particolarmente sentito sotto il profilo biopolitico, inteso come paradigma tipicamente moderno che ritiene l’humanitas non un presupposto ma un prodotto della prassi. Riprendendo le riflessioni di Francesco D’Agostino, ciò che è doveroso (eticamente doveroso) che l’uomo compia non dipende dalla sua volontà individuale (e quindi arbitraria) né meno che mai dai suoi interessi, ma dalla verità delle cose che lo circondano, dalla verità delle situazioni nelle quali è chiamato a vivere, dalla stesa verità di quell’essere umano che egli è. L’etica ci induce a riconoscere che il “tu viene prima dell’io”, che i doveri vengono prima dei diritti.
E i figli, come ci ricordano i vescovi italiani «mai possono essere considerati un prodotto o l’oggetto di un pur comprensibile desiderio», a fronte di invocati diritti di libertà individuali che assegnano una priorità assoluta alla volontà-desiderio dei committenti o genitori intenzionali. Detto in altri termini, non sussiste una identificazione del desiderio legittimo con un diritto soggettivo.
Non si tratta di porre la dialettica su posizioni moralistiche o su uno scontro di bipolarismo etico. Siamo per la costitutiva, singolare e irripetibile relazionalità madre-figlio oppure per una interpretazione meccanicistica della gestazione? Quale tutela della dignità dei soggetti coinvolti?
Il Comitato nazionale per la Bioetica, con Parere del 2016, rileva che l’ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, è in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali. Né una gravidanza solidale e altruistica potrebbe rappresentare un’esimente, per quanto ci si appelli all’autodeterminazione dei committenti e delle donne che volontariamente acconsentono al dono della loro capacità generativa. Fino a chiederne la legalizzazione, ritenendo che se la Gpa non è una pratica che arreca danno a terzi non c’è alcuna ragione per vietarla.
In definitiva, con Sylviane Agacinski, tra le più autorevoli studiose sul tema, «il corpo delle donne deve essere riconosciuto come un bene indisponibile». La filosofa e femminista francese ci ricorda che «il corpo umano, come la persona stessa, ha un valore assoluto, a differenza delle cose che hanno un prezzo. Per quasi tutti i movimenti femministi, la questione non è stabilire chi sono i clienti delle madri in surroga, se sono omosessuali o eterosessuali, ma proteggere la vita personale e la dignità delle donne». Siamo d’accordo con lei.
Medico e coordinatore dell’Osservatorio di Bioetica della Diocesi di Napoli, già senatore della Repubblica