Tu non sai, non puoi sapere – e non te ne faccio colpa – che vuol dire nascere e diventare uomo in un quartiere popolare, in Campania, lasciato nelle mani della camorra. Quartiere tirato su senza arte né bellezza, dove quel poco di spazio destinato al verde è stato trasformato in una pattumiera. A pochi metri dalla chiesa e dalla scuola, dalla case e dalla guardia medica. Quartiere dove, per recarsi a scuola, i tuoi figli sono costretti a passare davanti a diverse piazze di spaccio.
Droga. Tanta. E ti chiedi con orrore se anche a loro, un giorno, dovesse mancare la forza di tirare dritto. E si fermassero, così, tanto "per provare", come fece il figlio del tuo collega. E lo trovarono in campagna, con l’ago ancora infilato in vena. Overdose. Dolore. Rabbia. Poi il silenzio. La gente dimentica presto. Tu non puoi sapere cosa vuol dire rientrare in fretta una sera perché stanno sparando all’impazzata. Mitragliette, non pistole. Senti i colpi, temi, tremi, telefoni ai parenti, agli amici, al parroco. «Non uscire. Stasera è pericoloso. Non so cosa accada. Meglio rimanere in casa».
Guerra tra bande. Guerra civile. Guerra tra fratelli in un Paese in pace. Intollerabile. E hai paura. Per te stesso, per i tuoi cari. Il ricordo della piccola Noemi, ferita gravemente a soli 4 anni, durante un agguato a Napoli, non si è ancora dileguato. Innocenti finiti nel mirino. Quanti ne conta la mia regione? Tanti. Troppi per non temere per il futuro dei figli. Tu non sai che vuol dire abitare in uno di questi condomini dove il più forte detta le sue leggi.
Con arroganza. Superbia. Maleducazione. Strafottenza. E ti dice quando puoi uscire e quando non devi. E decide se il portone d’ingresso del palazzo deve rimanere chiuso o aperto; socchiuso o spalancato. E tu devi obbedire, fare buon viso a cattivo gioco. Devi passare e salutare come se niente fosse. Devi fingere una normalità disastrosamente anomala. Tu non puoi sapere quanto pesi la gogna che io e la mia famiglia ci portiamo addosso senza colpa alcuna. Tu non puoi sapere che vuol dire doverci vergognare di dare agli amici di lavoro l’indirizzo di casa. Tu, fratello che leggi queste righe, non puoi sapere che cosa vuol dire essere vittima e passare per carnefice. Subire l’ingiustizia ed essere accusato di omertà.
Non puoi sapere quanto sia difficile distinguere ogni giorno, a ogni ora del giorno, la prudenza dalla codardia. La viltà dalla giusta riflessione. Conosci l’antica legge dell’eterogenesi dei fini? Non sempre ciò che sembra il meglio, a prima vista, si rivela poi essere veramente tale. Che fare? Per quale strada camminare? C’è chi caldeggia la politica dei piccoli passi e chi un atto plateale di coraggio, che magari a qualcuno costerà il martirio, ma che potrebbe cambiare radicalmente le cose. Nessuno è solo, tutti hanno una famiglia. E 'loro' lo sanno. 'Loro' non vanno per il sottile, potrebbero rivalersi sui tuoi cari.
E tu sai di non avere il diritto di trascinarli in un vicolo senza uscite. Tu non sai cosa vuol dire sentirsi cittadino italiano, europeo, e vivere in un quartiere da Paese del terzo mondo. Cosa vuol dire recarti a votare per una Europa che guardi più lontano, che si preoccupi di tutti, che sappia salvaguardare i diritti di tutti, soprattutto dei più deboli, poveri, indifesi, mentre ti senti abbandonato dallo Stato. Tu, fratello, mi fai domande alle quali non sempre so rispondere. Perché avviene tutto questo? C’è chi, per interesse, per partito preso, per una sorta di strisciante razzismo o per ignoranza, è pronto a giurare che la colpa è mia. E non sa di infilarmi un pugnale nella schiena. Mille volte mi sono chiesto – e non sono il solo – se conviene restare o andare via, come già hanno fatto in tanti. Sono rimasto. Ancora per quanto non lo so, ma sono rimasto. Un po’ per convinzione, un po’ per necessità, un po’ per non dovermi vergognare in futuro. Chi va via complica le cose, lascia la preda al predatore. Chi ama, resta. Rimanere con la persona amata è il dovere di ogni amante.
Anche rimanere nel quartiere che ti ha visto nascere e che, nonostante tutto, ti appartiene. Da soli, però, non ce la facciamo, non ce la possiamo fare, non ce la faremo mai. Se alla camorra maledetta non si estirpano le radici, ma si continua a potarle la voluminosa chioma, non morirà ma porterà più frutto. Necessita un lavoro d’insieme. I quartieri a rischio devono essere risanati. Occorre seguire la strada del denaro. Chiedersi come sia possibile che intere famiglie, a reddito zero, vivano nel lusso più sfrenato. Occorre che lo Stato torni a essere presente, autorevole e – se serve – autoritario, in queste terre di confine lasciate nelle mani di bande stolte e sanguinarie.