Caro direttore,
ho letto con interesse l’articolo nel quale il professor Leonardo Becchetti (“Avvenire”, 17 novembre 2020) esamina l’ipotesi di una cancellazione da parte della Bce dei titoli del debito pubblico nel suo portafoglio, originati dall’epidemia del coronavirus. Ho apprezzato l’articolo perché, a differenza di molti commentatori, Becchetti affronta tutti i problemi connessi con quell’ipotesi (le ricadute sul bilancio della Bce e i connessi effetti sulla fiducia nella Banca e nella moneta da essa emessa, sull’inflazione dei prezzi dei beni ma anche delle attività finanziarie, sul moral hazard, cioè sui comportamenti futuri dei Governi). C’è tuttavia un aspetto che non viene considerato e che, a mio avviso, si presenterà con tutta la sua forza quando si dovesse passare dalla proposta alla sua realizzazione. La cancellazione del debito configurerebbe una violazione dell’art. 21 dello Statuto del Sistema europeo di Banche centrali, che, a sua volta, è collegato all’art.123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Queste disposizioni, infatti, vietano il finanziamento monetario del settore pubblico. Ho avuto modo di ascoltare di recente un intervento del Governatore della Banca di Francia il quale, con riferimento alla proposta di una cancellazione del debito pubblico nel bilancio della Bce, la respingeva proprio sulla base degli articoli che ho citato. Non sappiamo come evolverà l’epidemia e quali ricadute avrà sulle nostre economie. Ma sarebbe poco saggio se i Governi facessero un eccessivo affidamento su ipotesi di cancellazione del debito pubblico. Credo che la priorità della politica debba essere quella di fare gli opportuni investimenti affinché, appena avremo vinto l’epidemia, ci si immetta su un sentiero di crescita sostenuta e sostenibile.
Carlo Santini
Caro dottor Santini, innanzitutto quando l’obiezione a una politica è “solo” giuridica (non è prevista dai Trattati) siamo già davanti a una buona notizia.Vuol dire che la cosa si può fare. Da questo punto di vista dunque il miglior commento possibile all’ipotesi – articolata su queste pagine sin dal 15 ottobre («Questi debiti da rimettere» ) e rilanciata dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli domenica 15 novembre – di una cancellazione da parte della Bce dei titoli del debito pubblico nel suo portafoglio originati dalla pandemia di Covid-19 non poteva che essere quello del vicepresidente della Bce De Guindos che ha affermato «i Trattati non lo prevedono». Le regole di tutti i Trattati, compresi quelli della Ue, nascono in determinati contesti storici e poi devono essere adeguate (neppure il Covid-19 era previsto) quando i contesti cambiano anche se non è ovviamente facile farlo. In qualche caso, si evita la via principale e i Trattati si aggirano, in modo più o meno elegante. I comportamenti delle Banche centrali sono cambiati in modo impressionante in pochissimo tempo, e questo nonostante la rigidità dei Trattati. L’attuale prassi di detenere quote elevate di titoli pubblici degli Stati membri retrocedendo gli interessi alle Banche centrali nazionali e di conseguenza agli Stati membri sarebbe stata considerata, solo fino a poco tempo fa, un’eresia ed è di fatto un “finanziamento monetario del settore pubblico”, neanche troppo nascosto. Il grafico della variazione dell’attivo della Bce negli ultimi dieci anni fa impressione quanto a crescita della quota che misura i titoli pubblici detenuti.
Su una cosa, a questo proposito, bisogna essere assolutamente chiari e io lo sono ogni volta che posso precisare il mio pensiero, e la ringrazio sia per le parole che usa nei miei confronti sia per avermi dato un’occasione per farlo con questa sua lettera con la quale il direttore mi ha offerto di dialogare. Ragionare su qualcosa che potrebbe alleviare gli effetti della tragedia della pandemia sulla nostra e sulle generazioni future non deve assolutamente creare alibi al compito principale a cui siamo chiamati in questo periodo storico. Quello di usare nel modo migliore possibile l’occasione di Next Generation Eu e di fare il massimo perché gli investimenti siano produttivi. Sarebbe miope però confondere un dibattito di questa importanza e di portata globale avvertita da molti esperti di diversi Paesi, come ha sottolineato nel suo editoriale di Marco Girardo («il momento Bretton Woods»), con un presunto tentativo degli italiani di non voler pagare il proprio debito. Se però intravediamo strade e opportunità possibili per liberare risorse, abbiamo il dovere di esplorarle e di stimolare il dibattito di tante intelligenze sul tema.
Economista ed editorialista di “Avvenire”