Ma davvero la medicina è una scienza (esatta)?
mercoledì 9 dicembre 2020

Ma la medicina è una scienza? Di questi tempi potrebbe essere sospetto farsi questa domanda. Ma la contrapposizione 'terrapiattisti' e 'scientisti' non racconta con giustizia quello che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Da quando viviamo la vicenda pandemica e leggiamo con assiduità le dichiarazioni di virologi, immunologi, epidemiologi, pandemiologi, farmacologi, biologi, genetisti, primari e medici impegnati sul campo, spulciando con bramosa speranza una verità che ci sfugge, la domanda sorge spontanea e allora è giusto ripeterla: la medicina è una scienza? E se lo è perché non ci dà risposte, ma opinioni contrapposte, contraddittorie, polemiche furibonde, affermazioni che vengono sistematicamente negate dagli stessi che le hanno sostenute? Forse dovremmo rivedere la nostra idea di scienza.

O forse è giunto il momento per capire di cosa stiamo parlando. In un magnifico libro del 1979, 'Spie, radici di un paradigma indiziario', il nostro grande storico di Carlo Ginzburg ricostruiva il modo di procedere per indizi di varie discipline, non solo la storia, ma l’investigazione poliziesca alla Sherlock Holmes, la verifica dei falsi nella storia dei dipinti e certamente la medicina. Queste 'pratiche' hanno tutte a che fare con un paradigma indiziario, cioè partono da indizi, sintomi, casi e da essi cercano di ricostruire una verità , che è provvisoria perché empirica, legata a fatti 'umani', alla procedura per 'induzione', piuttosto che per deduzione aristotelica. In questo procedere, in queste procedure la verità è negoziata dai 'fatti' e dalla loro interpretazione, è semiotica, o semeiotica, cioè una pratica della lettura dei segni, si potrebbe dire in chiave antropologica che è una 'divinazione', cioè la possibilità di evincere da segni esterni una verità più ampia. Ovviamente questa lettura scandalizza chi pensa che la medicina sia una 'scienza esatta', al pari delle 'scienze dure' - fisica, matematica, biologia (ma oggi chi è disposto a scommettere che queste stesse scienze dure siano esatte? Solo Odifreddi...).

Cinque anni prima di 'Spie' usciva 'Nemesi Medica' di Ivan Illich che poneva la stessa domanda che sta in testa a questo articolo: 'La medicina è una scienza?'. Rispondeva denunciando tutta la pericolosa deriva che l’autogiustificazione scientifica della medicina come scienza ha apportato in chiave iatrogenetica, cioè di danni che derivano dalla medicina stessa. E insieme l’allontanarsi dalla sua funzione di cura, in una costante verifica dialettica tra malati e medici e il trasformarsi in una vulgata corporativa autosufficiente.

La stessa denuncia pervade tutta l’analisi della 'Nascita della clinica' di Michel Foucault. Abbiamo dimenticato che la clinica nasce dal bisogno di avere sottomano un numero sufficiente di casi per tirarne fuori delle statistiche? Che la concentrazione di malati nello stesso posto risponde a una necessità della corporazione, ma apporta spesso danni sostanziali alla salute pubblica – come si è visto in questa pandemia. È la stessa critica che sostanzia il lavoro di Barbara Duden sulla trasformazione del corpo delle donne in oggetto dello sguardo medico. E che allontana sempre di più la cura dal rapporto imprescindibile di ascolto tra chi soffre e chi viene in soccorso, dove l’epistemologia della cura è il frutto di una ricerca comune tra questi due soggetti. Il malato è anche il soggetto del sintomo e ascoltarlo fa parte della ricerca medica.

Oggi in piena pandemia sembra che la verità stia solo dal lato degli epidemiologi e che i malati siano numeri da fare balzare sulle cronache o su cui elaborare statistiche e indici. Ed è il motivo per cui scompaiono caratteristiche culturali, geografiche, ambientali, modi di vivere. Come se la pandemia fosse soprattutto azzeramento della diversità umana. E invece gli infiniti dubbi che questa pandemia ci ha messo addosso partono proprio dalle specificità ambientali, climatiche culturali, sociali. La carica immunitaria essendo una variabile di infinite caratteristiche di questo tipo. Viene da pensare che la medicina è una scienza sì, ma al pari delle scienze umane e che dovrebbe misurarsi con esse.

La casistica che deve affrontare ha a che fare con la stessa variabilità individuale e collettiva con cui ha a che fare, ad esempio, l’antropologia. La medicina sembra invece essere incistata in un universalismo spacciato per egualitarismo che le impedisce di cogliere i contesti in cui interviene. Per poi ammettere, sempre a posteriori, che le situazioni ambientali, sociali, geografiche, emozionali giocano un ruolo immenso nella diversità delle risposte alla stessa pandemia. Una sana autocritica del mondo medico in questa fase farebbe bene a tutti e contribuirebbe a farci capire che stiamo davvero lottando per la stessa cura.

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