In un’Italia dilaniata tra “pro” e contro”, il primo sostanziale convergere nei commenti sulla morte di Silvio Berlusconi attorno a toni di cordoglio e compostezza rappresenta un fenomeno da non sottovalutare.
Nelle ore immediatamente seguite a una notizia destinata ai libri di storia si è assistito a una scena ormai insolita, che solo all’approssimarsi delle esequie di ieri ha mostrato le prime rilevanti crepe: un susseguirsi di messaggi e dichiarazioni che da versanti tenacemente opposti si sono allineate non solo sulla sobrietà delle parole ma anche su un omaggio avvertito come doveroso a un figura poliedrica e controversa eppure davanti alla quale si è come colta per qualche tempo la necessità di soffermarsi con rispetto. Per niente scontato, in tempi di troppi pregiudizi e livori. Proprio per questo occorre interrogarsi su cosa abbia dettato un prevalente contegno pubblico in grado di restituire un clima da Paese maturo e consapevole di sé, capace anche solo per due giorni di sottrarsi alla contesa e allo screditamento vicendevole. Davanti alla memoria imponente di Berlusconi, così intrecciata alle nostre vicende recenti e persino alla coscienza nazionale, la maggior parte delle voci ha mostrato capacità di resistere alla tentazione di usare del momento così fortemente simbolico per regolare conti e puntare a dividendi emotivi di facile incasso. La figura lo avrebbe pure consentito, se non quasi imposto. Invece abbiamo avvertito attorno a noi un ritegno partecipe in tanti che si sono espressi dando voce al vasto assortimento di opinioni circolanti tra gli italiani.
Chi ha pubbliche responsabilità a ogni livello ha in genere sentito e testimoniato il dovere di interpretare uno stile adatto alla situazione escludendo di dare copertura ad atteggiamenti aggressivi. Interprete esemplare dello stato d’animo diffuso, oggi come in altri momenti chiave per la collettività, il presidente Mattarella ha espresso «profonda tristezza» parlando di «grande umanità» di un uomo che ha combattuto la sua malattia con «coraggio ed esemplare ottimismo». Proprio la fragilità estrema in ultimo soverchiante in chi aveva ingaggiato una battaglia personale contro lo scorrere del tempo ha forse privato Berlusconi della sua corazza da aspirante immortale offrendocelo vulnerabile, come tutti. Una dimensione umanissima che anche gli avversari politici hanno mostrato di saper cogliere, fermandosi davanti al corpo arreso di un combattente.
Occorre ricordare i giorni che stiamo attraversando – e mentre già il clima sta svoltando – perché siamo fatti di una fibra misurata e solidale, capaci di dividerci in tifoserie ma anche di ritrovarci quando il momento si fa cupo. Siamo ancora quelli che se un lutto colpisce qualcuno sanno assumere su di sé una parte del dolore, anche se tutta la propria storia documenta lontananza alla biografia di chi è morto. Il credente, poi, sente la necessità di una preghiera, sapendo che il giudizio ultimo non gli compete e che la natura contraddittoria ci accomuna tutti, chi più chi meno.
Già ieri questo “fronte della compostezza” si è sfrangiato, con un ritorno alle abituali contumelie reciproche, quasi non si riuscisse a resistere troppo a lungo. Attorno all’opportunità dei funerali di Stato e del lutto nazionale, ben oltre il più che legittimo dibattito, si sono ricostituite prontamente le truppe l’una contro l’altra polemicamente armate, riproponendo post mortem il paradosso di una figura che unisce nel giudizio sul suo singolare potere divisivo, sebbene fosse nell’indole dell’uomo cercare in ogni modo di convincere tutti delle sue ragioni, in particolare i più irriducibili censori. Anche così si è reso evidente come la “vocazione unanimistica” del carattere di Berlusconi abbia prodotto una cesura profonda nell’opinione pubblica. Nel suo cercare in ogni modo il consenso sulla propria persona oltre che sulle idee di cui era prodigo sostenitore, e nel non sapersi quindi spiegare perché mai vi fossero tanti e tanto agguerriti oppositori, c’è un aspetto che ha costretto gli italiani a prendere partito su di lui. Tutti abbiamo dovuto inevitabilmente fare i conti con la nostra immagine del Cavaliere: è accaduto lungo i trent’anni della sua attività politica, mescolata a molte altre dimensioni, così come quando si è diffusa la notizia della morte, il momento nel quale ogni figura storica è spogliata delle insegne e ne resta solamente il profilo di uomo.
Un uomo, dunque, con le sue opere, l’impronta che lascia, i suoi talenti e le debolezze. Non siamo forse così tutti noi? «Ecco cosa posso dire di Silvio Berlusconi – ha detto l’arcivescovo Delpini a conclusione dell’omelia nella Messa esequiale –. È un uomo e ora incontra Dio». Sapersi ritrovare attorno a un’umanità infine condivisa: ecco cosa può davvero ricucire il nostro tessuto lacerato.