Ogni gran potere è penultimo
sabato 18 giugno 2022

Sappi che cosa c’è al di sopra di te: un occhio che vede, un orecchio che ascolta e tutte le tue azioni scritte nel libro
Rabbi Yehudah ha Nasi, Pirqe ’Abot

I sogni sono una delle lingue parlate da Dio. Daniele e Giuseppe sono i primi due nomi che vengono in mente quando nella Bibbia si menziona la parola sogni. Due uomini simili e diversi. Entrambi sognatori, entrambi interpreti dei sogni degli altri. Giuseppe inizia la sua amicizia con i sogni sognando, i suoi sogni grandi gli procurano l’invidia dei fratelli. Venduto come schiavo arriva in Egitto e lì, in un carcere, inizia a interpretare i sogni degli altri. Daniele, in esilio, inizia invece spiegando i sogni tremendi e difficili del re babilonese Nabucodònosor, e dopo aver interpretato i sogni degli altri in un giorno adulto inizia anche lui a sognare. Nelle vocazioni profetiche qualche volta si inizia sognando e si finisce per aiutare gli altri a sognare. Altre volte la vita ci porta invece a occuparci subito dei sogni degli altri, a cercare di capire le loro visioni e i loro incubi, e dopo aver speso gli anni migliori e quasi tutte le forze a liberare gli altri dai loro sogni brutti e a spiegare quelli più belli, una notte, sfiniti, ci addormentiamo, e in quella che sembrava una notte come tutte le altre iniziamo finalmente a sognare.

Siamo arrivati a metà del nostro cammino con Daniele. Il capitolo 7 è il centro del suo libro. È uno dei testi più noti di tutta la Bibbia e tra i più complessi per gli esegeti e gli storici, uno dei brani che più ha influenzato il Nuovo testamento, la fede e l’apocalittica medioevale (Gioacchino, Ildegarda). È il capitolo delle quattro bestie e del Figlio dell’uomo. Nel capitolo 6 eravamo a Babilonia sotto la dominazione persiana del re Dario. Ora torniamo indietro di qualche anno: «Nel primo anno di Baldassàr, re di Babilonia, Daniele, mentre era a letto, ebbe un sogno e visioni nella sua mente. Egli scrisse il sogno e ne fece la seguente relazione» (Daniele 7,1).
Daniele inizia a sognare. Ecco il suo sogno-visione: «Io, Daniele, guardavo nella mia visione notturna, ed ecco, i quattro venti del cielo si abbattevano impetuosamente sul Mare Grande e quattro grandi bestie, differenti l’una dall’altra, salivano dal mare» (7,2-3). Siamo in un ambiente mitologico, forse influenzato da l’Enuma Elish, un racconto babilonese sulla creazione del mondo e sulle imprese del dio Marduk: «La prima bestia era simile a un leone e aveva ali di aquila. Mentre io stavo guardando, le furono strappate le ali e fu sollevata da terra e fatta stare su due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d’uomo. Poi ecco una seconda bestia, simile a un orso, la quale stava alzata da un lato e aveva tre costole in bocca, fra i denti, e le fu detto: "Su, divora molta carne". Dopo di questa, mentre stavo guardando, eccone un’altra simile a un leopardo, la quale aveva quattro ali d’uccello sul dorso; quella bestia aveva quattro teste e le fu dato il potere. Dopo di questa, stavo ancora guardando nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia, spaventosa, terribile, d’una forza straordinaria, con grandi denti di ferro; divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava: era diversa da tutte le altre bestie precedenti e aveva dieci corna» (7,4-7). Queste bestie hanno nutrito generazioni di artisti, e con la loro bruttezza hanno fatto più bello il mondo - l’arte ha anche questa capacità catartica di trasformare mostri in capolavori.

Per l’uomo antico era normale usare i grandi animali come immagine del tremendo e del mostruoso, anche per la vulnerabilità degli uomini, donne e bambini agli animali selvatici. Noi oggi non useremo più leoni, orsi, aquile e leopardi come icone del male assoluto, perché i millenni e le civiltà ci hanno fatto conoscere e rivelato gli animali, il loro mistero, la loro dignità e la loro bellezza. È questo un caso in cui la crescita civile ed etica delle civiltà ci fa nascere un buon disagio di fronte ad alcune pagine bibliche, un disagio creato dalla stessa Bibbia che ha fecondato i secoli e così ha generato donne e uomini che nel leggerla attivano sentimenti ed emozioni che la Bibbia non possedeva quando fu scritta. Quando ciò accade la Bibbia ringrazia i suoi lettori perché la fanno diventare migliore - qualche volta quando ci sentiamo stretti dentro la Bibbia siamo noi che dobbiamo crescere in spiritualità, altre volte è la Bibbia che ci chiede di farla crescere in umanità.

Nella descrizione di queste quattro bestie ritroviamo tracce di influssi biblici (Salmi, Giobbe, Osea) ed extra-biblici (cananei, iraniani, persiani, ugaritici), mescolati e arricchiti dalla fantasia e dal genio narrativo di Daniele (e di genio si tratta, lo stiamo scoprendo). La quarta bestia ha tratti in comune con il Leviatano, l’antico mostro cananeo Lotan che ritroviamo in più libri biblici e più tardi in Thomas Hobbes. C’è un parallelismo tra le bestie sognate da Daniele e la statua dai diversi metalli sognata da Nabucodònosor (capitolo 2). Sono, infatti, entrambe una profezia sulla successione dei regni, dai babilonesi (leone) fino ai greci (la quarta bestia), passando per i medi (orso) e i persiani (leopardo). La redazione finale di questo capitolo risale alla persecuzione tremenda di Antioco IV Epifane (175-163 a.C.): è lui la quarta bestia più mostruosa. Daniele legge quindi il susseguirsi degli imperi come un avvicendamento di bestie, di mostri sempre più terribili e divoratori. Un giudizio senza appello, una condanna storica radicale dove sono scomparse le parole di dialogo e qualche volta buone sui re che abbiamo incontrato nei capitoli precedenti.

In genere la Bibbia non ha una visione positiva del potere e dei sovrani perché sa che il potere corrompe i sovrani e non è usato per il bene del popolo. I profeti raggiungono però toni durissimi e qualche volta radicali, perché sono certi che questa durezza è il loro unico modo di servire il bene comune. Quanti mostri abbiamo visto lungo i secoli con in bocca le costole di uomini e bambini, quante bestie con denti di ferro che stritolano tutto, e quante ne stiamo vedendo oggi? Denti di ferro di eserciti, denti di ferro delle industrie di morte, mostri che "mettono sotto i piedi e calpestano" tutto ciò che incontrano, incluso il pianeta e l’atmosfera. Forse in pochi altri luoghi la Bibbia è stata capace di questa potenza di profezia: quell’antico scrittore aveva negli occhi le superpotenze babilonese, persiane, greche, con i loro eserciti di cavalli ed elefanti; non poteva pensare che quei suoi mostri a quattro teste, le bestie a dieci corna e con denti di ferro avrebbero descritto molto meglio i nostri carrarmati, caccia, missili di precisione, che "tutto stritolano e tutto divorano". Ma ciò che, forse, quel lontano autore non poteva immaginare è che dopo duemiladuecento anni le bestie continuano ancora a distruggere tutto, e abbiamo anche moltiplicato a dismisura la loro forza distruttiva. La profezia biblica è anche lo spettacolo di un immenso fallimento – i fallimenti non fanno paura ai profeti, lì danno il meglio di sé.

A questo punto il tono e l’ambiente della visione cambiano: «Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e un Antico-di-giorni [vegliardo] sedette. La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scorreva e usciva dinanzi a lui, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano» (7,9-10). Un altro personaggio stupefacente e misterioso: "l’Antico di giorni" o "l’Eterno". È una chiara immagine di Dio, circondato dalla sua immensa corte celeste. Si trova su un trono come un carro di fuoco - come non pensare a Ezechiele e a Elia? -, una sorta di celeste Arca dell’alleanza mobile. Questo Antico-di-giorni è un giudice. La sua corte è anche la corte di un tribunale supremo: «La corte sedette e i libri furono aperti» (7,10).

Vengono aperti i libri. Quali libri? Come nei tribunali umani i giudici leggono i verbali della causa, in cielo il Giudice supremo leggerà alla fine dei tempi i libri dove sono registrate le azioni buone e cattive. Qui il libro del vegliardo sembra una sorta di Libro mastro, dove vengono annotati i debiti-colpe, in particolare dei re e degli imperi. Ecco il verdetto: «Continuai a guardare a causa delle parole arroganti che quel corno proferiva, e vidi che la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare nel fuoco. Alle altre bestie fu tolto il potere e la durata della loro vita fu fissata fino a un termine stabilito» (7,11-12). Possiamo leggere questo giudizio universale come una pagina di religione retributiva, che ci mostra un Dio commercialista che annota ogni nostro peccato nelle sue scritture contabili. Nella Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, c’è anche questo. Ma in questo "libro aperto" c’è anche qualcosa di più: c’è la speranza che le "bestie" della storia, i mostri disumani che divorano tutti e tutto non abbiano l’ultima parola. È la preghiera che il potere tremendo sia solo penultimo.

Daniele ci dice che Dio non si disinteressa della storia, non ha separato da sé il mondo per non doversene occupare più. È vigile, osserva, annota e poi giudica. Il suo non è un giudizio fuori della storia, non è qualcosa che accadrà nell’altra vita o in paradiso (una categoria assente nella Bibbia ebraica). Non è neanche il giudizio finale che avverrà alla fine della storia. No: il giudizio dell’Antico-di-giorni si svolgeva mentre lo scrittore sacro scriveva il suo libro. Aver rimandato nel cristianesimo il giudizio finale alla fine dei tempi o a dopo la morte, ci può indurre a pensare che il giudizio dell’Antico-di-giorni non stia avvenendo ora mentre stiamo scrivendo qui il nostro libro. E invece qui e ora si stanno aprendo i libri, mentre gli imperi continuano a triturare e divorare. Il verdetto si sta pronunciando: ascoltiamolo. Lo sta pronunciando il Vegliardo, lo deve pronunciare il nostro cuore. L’esistenza di un giudizio più alto e diverso è un bisogno profondo dell’anima delle persone e dei popoli, è un urlo delle vittime, è un diritto fondamentale dei poveri, quindi è gridato e scritto dai profeti. Quel libro diverso da qualche parte deve esistere. Non è vero che la speranza che esista un giudizio di ultima istanza riduce il nostro impegno per migliorare i "libri" sulla terra. Lo aumenta, perché ci dice che non siamo soli a lottare contro i mostri dai grandi denti di ferro: una Mano più alta lavora insieme a noi.

l.bruni@lumsa.it

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