Anch’io, venuto per ultimo, mi sono tenuto desto, come uno che racimola dietro i vendemmiatori: con la benedizione del Signore sono giunto per primo, come un vendemmiatore ho riempito il tino.
Siracide, 33
«Noemi aveva un parente da parte del marito, un uomo ricco e di valore del clan di Elimèlec, che si chiamava Boaz» (Rut 2,1). In una scena che fino ad ora era stata abitata solo da figure femminili, ora arriva un uomo, e vi resterà fino alla fine. Boaz è uomo di valore. Se Noemi, vedova e senza figli, ha ancora un parente "di riguardo" a Betlemme, allora è meno "vuota" di quanto sembrava finora. Ma questo primo versetto lo conosciamo noi, i lettori del libro, e Noemi. Non lo conosce Rut. Lei resta ignorante. La Bibbia non ci fa entrare nel suo mistero, anche drammatico, se non rispettiamo l’ordine e il ritmo che il testo ha voluto per i suoi personaggi. Se, qui, non diventiamo ignoranti come Rut.
Ritroviamo Rut insieme a Noemi, in una situazione difficile. Dopo lo slancio profetico dell’inizio della sua vocazione, ora si tratta di poter vivere, quantomeno sopravvivere. Noemi sembra perdurare nel suo stato di amarezza. E così Rut prende di nuovo l’iniziativa: «Rut, la moabita, disse a Noemi: "Lasciami andare in campagna a spigolare dietro qualcuno nelle cui grazie riuscirò a entrare". Le rispose: "Va’ pure, figlia mia"» (2,2). A spigolare. La parola decisiva del libro, quella vista dagli artisti e da molta pietà popolare. Perché Rut è molte cose, ma è soprattutto la spigolatrice.
Era il tempo della mietitura dell’orzo (1,22), una mietitura che arrivava dopo una lunga carestia (1,6). Una donna straniera, vedova e diventava povera, in tempo di mietitura poteva sopravvivere spigolando dietro ai mietitori. Gli uomini passavano per primi, prendevano le spighe con la mano sinistra, con la falce sulla destra tagliavano il "mannello" (la quantità di spighe contenuta in una mano), e lasciavano in terra le spighe falciate. Quindi le donne raccoglievano quelle spighe, le legavano e formavano i covoni. Infine arrivavano le spigolatrici, mestiere principalmente femminile, a racimolare-spigolare quanto era rimasto non legato e sui bordi. Le spigolatrici erano dunque donne che andavano dietro ad altre donne che seguivano i mietitori. La loro era una raccolta residuale, di terz’ordine, che dipendeva dall’azione di chi le precedeva. Non raccogliere ai margini e lasciare alcune spighe sciolte sul terreno era azione intenzionale. Quelle spighe non restavano lì per distrazione o incuria. In quel mondo il grano era prezioso, faccenda di vita e di morte, e nemmeno una spiga veniva lasciata per errore. Quel grano restava perché doveva restare, era un resto voluto, cercato, protetto dalla Legge, e atteso dai poveri e dalla comunità, che lo difendeva da abusi. Era "grano sospeso", non grano dimenticato.
Nel popolo d’Israele la spigolatura era infatti ordinata dalla Legge di Mosè: «Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che resta da spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini caduti: li lascerai per il povero e per il forestiero» (Lt 19,9-10). E nel Deuteronomio: «Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornare a ripassare i rami. Sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova...» (24,20). Quindi la spigolatura non riguardava solo il grano, ma i principali prodotti della campagna, una vera e propria istituzione sociale di ridistribuzione della ricchezza.
Pratiche analoghe alla spigolatura nella Bibbia le troviamo in altre civiltà antiche. Le spigolatrici sono rappresentate nell’arte funeraria dell’antico Egitto (Joyce Tyldesley, Daughters of Isis: Women of Ancient Egypt), e non è dunque da escludere che anche la pratica della spigolatura gli ebrei l’abbiano appresa in Egitto. Ma ciò che in altre civiltà era prassi marginale e residuale, in Israele divenne parte integrante della Legge di Mosè. E quindi per essere capita va letta insieme allo Shabbat, al Giubileo, al divieto di usura, che fanno dell’economia biblica qualcosa di diverso e in buona parte unico: «Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi» (Dt 15,4).
È questo la spigolatura nella Bibbia. Un’autentica profezia economica, espressione del grande principio alla base di tutta la Legge biblica: la terra è di YHWH, voi siete solo utilizzatori secondi di una ricchezza che è dono prima di essere il frutto del vostro sforzo e dei vostri meriti. E se la terra e i suoi frutti sono prima dono, allora distribuirne una parte non è altro che la sua logica giusta conseguenza. La spigolatura è una istituzione di giustizia economica, non di filantropia. Quelle spighe lasciate libere nei bordi dei campi e quelle che i mietitori e le donne fanno cadere in terra non sono proprietà privata di cui i possidenti si privano per i poveri; no: quelle spighe non raccolte sono la parte del bene comune che spetta di diritto ai poveri. È il ricordo operante del dono gratuito della manna nel deserto e della sua legge – la manna non è mai uscita dall’orizzonte biblico ed evangelico. C’era ancora l’eco di questa profezia biblica dietro i conti intestati a "Messer Domineddio" delle compagnie toscane del Trecento, dove Dio riscuoteva i suoi dividendi tramite i poveri. I campi di Betlemme erano allora una sorta di beni comuni, su di essi c’era un diritto anche per i non proprietari. Gli angoli dei campi e le spighe restanti appartenevano a tutta la comunità. Sui beni della terra promessa hanno diritti anche i non proprietari. Per la Bibbia tutta la terra è terra promessa, e ogni città è Betlemme, la "casa del pane", la casa del pane per tutti.
Una certa presenza della spigolatura è resistita in Europa fino all’Ottocento (soprattutto in Francia e in Inghilterra). Se ne trova traccia in Sardegna ancora nel Novecento (Alfonso Peiroleri, Le condizioni del salariato agricolo in provincia di Cagliari, 1905). Più facile però è trovare tracce dei suoi abusi. All’inizio del ’500 in alcuni paesi della Calabria (San Martino) i feudatari (gli Alimena) vantavano diritti su parte delle spighe raccolte dalle spigolatrici, analogo abuso nel feudo di Fragagnano (Taranto). Interessante è un’ordinanza di papa Benedetto XIV del 1742: «Un numeroso gruppo di persone ci fece sentire, tra lamenti e pianti, lagnanze contro i padroni dei campi, che non vogliono più rispettare l’antica e pia consuetudine di lasciare libertà ai poveri di spigolare le spighe rimaste indietro nei campi dopo la mietitura» (Insegnamenti Pontifici, vol.13, Edizioni Paoline). Sono questi gli ultimi residui di un umanesimo, ancora vivo nel Medioevo, dove la proprietà privata sui beni era dominio imperfetto perché condiviso su molti livelli e tra molti attori.
Nei carismi religiosi questa coscienza era vivissima e operante: «Padre Francesco ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell’orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna» (Tommaso da Celano, Vita Seconda, 750). Qui, in un dettaglio, si nasconde tutto il Cantico di san Francesco: la terra non è nostra, neanche quel pezzo di terra dell’orto del convento i cui frutti e fiori non sono soltanto e tutti per noi. Sono lì anche per dire con la loro presenza libera e selvatica che sono liberi, che quindi non sono venuti al mondo solo per la nostra utilità.
La Bibbia e l’economia di Rut ci ricordano allora qualcosa di estremamente importante. Che i beni diventano benedizione per noi solo se siamo capaci di non usarli soltanto per noi. Perché l’economia della "roba" soltanto per noi è l’economia di Mazzarò della novella di Verga: «Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva lasciarla là dov’era... Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: "Roba mia, vientene con me!"». Il capitalismo senza la grande legge della spigolatura diventa l’economia di Mazzarò – ne stiamo avendo una immagine nitida in rapporto al pianeta.
I ricordi letterari (La Spigolatrice di Sapri di Luigi Mercantini) e pittorici (Le spigolatrici di Jean-François Millet) di metà Ottocento non aiutano a capire cosa fosse la profezia economica della spigolatura. Siamo già entrati in un’epoca dominata dall’assolutizzazione del diritto sacro della proprietà privata, che porterà alla scomparsa della spigolatura, che oggi nel Codice penale è reato (ex art 626).
Eppure, proprio dal cuore del nostro capitalismo e dal suo culto totale dell’individuo e dei suoi diritti assoluti sulla roba, stanno riemergendo pratiche che ricordano da vicino la spigolatura. Persone e associazioni che – nuove Rut –, dopo che i "mietitori" e le donne sono passate, vanno a racimolare nei mercati, nei supermercati, nei fornai, per raccogliere quanto resta, e poter ancora sfamare il povero. Anche qui c’è chi li guarda e pensa che l’economia che davvero conta è un’altra, quella delle grandi proprietà, dell’utile, del profitto. E invece in quei "banchi" diversi c’è la stessa profezia dell’economia di Rut e di Francesco.
Due ultimi dettagli. Insito nella legge della spigolatura c’è il divieto di voltarsi, di tornare indietro a raccogliere in seconda battuta ciò che è rimasto dopo il primo passaggio - «...non tornerai indietro a racimolare; ...non tornare a ripassare i rami». Quella biblica è l’economia della prima battuta, perché qui solo la prima è buona. Il secondo passaggio non è per noi, è il passaggio degli altri che hanno diritti sui "miei" beni. Voltarsi indietro non è mai buono in una vita di sequela. Infine, è molto suggestivo quell’andare dietro di Rut. Nella Bibbia «andare dietro è cosa buona» (Jean P. Sonnet). Tutta la storia della salvezza è la storia dell’arameo errante che va dietro a una voce. L’uomo biblico è colui che viene dietro, è chi viene dopo. Perché chi viene per primo è la voce, chi viene per primo è la comunità, è il bene comune. E ogni lettore della Bibbia arriva dopo: «Passa tra quelle righe come tra le vigne già spogliate, che non ci appartengono ma alle quali veniamo ammessi perché, da ultimi, siamo i più poveri» (Erri de Luca, Ora prima). Ma quelle ultime spighe superstiti non sono lì a caso, dimenticate. Stanno lì, sospese, ad attendere fedeli che arrivi la nostra seconda battuta. Quella essenziale per sfamarci, per sfamare. Per una liberazione. «Rut andò e si mise a spigolare nei campi dietro ai mietitori. Per caso si trovò nella parte di campagna appartenente a Boaz, che era della famiglia di Elimèlec» (2,3).
l.bruni@lumsa.it