Qualcuno ha tentato nel corso della storia di prendere sul serio questa beatitudine. Uno di questi è Francesco d’Assisi, colui che più di tutti ci ha svelato cosa significhi "beati i poveri". Francesco è questa beatitudine incarnata, quella parola fatta carne. Quella di Francesco non è l’unica via per entrare da poveri nel Regno, ma dopo il "poverello" (pauperculus) non è più possibile fare a meno della sua povertà per capire veramente quella delle beatitudini. Se non fosse così, i carismi sarebbero solo esperienze private, inutili all’umanità di tutti e di sempre. Francesco è il grande ed eterno maestro della beatitudine della povertà, della gioia diversa di un altro Regno. Tutte le volte che qualcuno risceglie di diventare povero incontra Francesco, anche se non lo riconosce (lui incontrò Gesù nel lebbroso e non lo sapeva, tutti i poveri per scelta incontrano anche Francesco, anche se non lo sanno).Non tutti i cristiani e non tutti gli uomini scelgono «madonna povertà», ma quella tipica gioia della povertà vera e non ideologica la conoscono solo Francesco e quelli e quelle come lui. Quella fraternità cosmica, quel cantico delle creature, quella libertà assoluta, quei baci alla bocca e alle mani dei lebbrosi, la perfetta letizia, possono nascere solo da chi è dentro quella beatitudine e vive in un Regno diverso. Non è obbligatorio essere poveri, neanche nella Chiesa: i ricchi non sono esclusi dai sacramenti, sono sovente lodati e ringraziati anche dagli stessi poveri. Sono sempre stati parte, legittima e anche importante, delle comunità cristiane. Vivono più a lungo, con una migliore istruzione e salute, riscuotono successi e applausi. Ma non sono abitanti di quel Regno, non conoscono quei cieli, non vedono quelle stelle lontane e splendide. C’è anche questa giustizia nel mondo, ed è grande.Ma c’è di più. La letizia di Francesco nasce da una povertà scelta, e la sua beatitudine è evidente a chi la sceglie e a chi la guarda. Ma tra i poveri che seguivano Gesù non c’erano solo quelli diventati poveri per scelta. C’erano tanti poveri-e-basta, persone che la povertà non l’avevano scelta, ma dentro la quale si erano ritrovati fin dalla nascita, o che erano diventati tali in seguito a una malattia o a una sventura. Tra quei poveri chiamati beati c’erano alcuni "Francesco", ma c’erano anche molti "Giobbe", cioè poveri non per scelta, ma solo per destino o per disgrazia. La forza sbalorditiva della prima beatitudine sta nel suo rivolgersi ai poveri-Francesco e ai poveri-Giobbe. Sono chiamati entrambi abitanti di quel Regno diverso. E se il Regno è loro, lì non sono sudditi ma sovrani. Ma mentre è relativamente semplice cogliere la beatitudine di Francesco, chiamare «beati» i tanti Giobbe della terra e della storia è operazione molto difficile, dolorosa, che sfiora l’assurdo, abita il paradosso. Ma se non includiamo anche Giobbe in quel «beati i poveri», ne riduciamo troppo la portata e la trasformiamo in ideologia. Dobbiamo riuscire a capirla e ripeterla nella letizia di Assisi, ma anche accanto ai tanti "mucchi di letame" dove vivono e dimorano i poveri-Giobbe. La beatitudine deve essere vera anche per chi la povertà non l’ha scelta, ma l’ha semplicemente subita. Il Regno dei cieli è, deve essere, il Regno di Francesco e quello di Giobbe, insieme. Poveri-per-scelta accanto a poveri-e-basta, tutti fratelli, tutti beati. Non è il sentirci felici che ci fa beati: la beatitudine nasce dalla condizione oggettiva dell’essere povero. Non è un sentimento: è un essere, un abitare. Non c’è amicizia più vera e grande di quella tra poveri, tra i poveri-Francesco e i poveri-Giobbe. Per incontrarla basta andare ancora in qualche missione in Africa, ma anche a Termini o all’Ostiense di Roma, dove poveri diversi vivono, soffrono, si abbracciano e "danzano" assieme, diversi e uguali, cittadini dello stesso Regno.
Il libro di Giobbe ci aveva detto, a un costo altissimo, che anche il povero può essere giusto e innocente – non dimentichiamo che in quel mondo, e nel nostro, la ricchezza era segno di benedizione e la povertà di maledizione. Il Vangelo incontra Giobbe e tutti i poveri e annuncia loro qualcosa di nuovo e di immenso: "Non siete solo innocenti: siete anche beati". I letamai restano, ma da quel giorno è arrivata anche la beatitudine, che ha riscattato una storia infinita di poveri condannati dalle religioni dei ricchi di ieri e di oggi.La beatitudine della povertà può arrivare tardi, molto tardi nella vita delle persone giuste: a volte è l’ultima beatitudine. Per intravvedere un altro regno occorre camminare molto, e se la vita ci fa nascere e vivere nella ricchezza e nell’abbondanza di beni e di talenti, occorrono molta fatica, molte prove e molto dolore-amore per riuscire a raggiungere la beatitudine della povertà. Spesso serve tutta la vita, e a volte neanche basta, per tornare finalmente poveri, figli e "nudi" come siamo venuti al mondo, e recitare alla fine la preghiera più grande: «Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Giobbe 1,20-21). Poveri si può tornare, si può ritornare alla povertà. Le porte del Regno sono sempre aperte e ci attendono.Credere e sperare che la prima beatitudine è anche per quei poveri che non hanno ricevuto un carisma per capire la felicità della povertà scelta, è un messaggio di grande speranza. Pochi possono diventare poveri-Francesco. Ma tutti possiamo diventare poveri-Giobbe. Allora tutti possiamo abitare il Regno, magari solo negli ultimi anni, mesi, giorni della nostra vita. E quando nell’ultima ora torneremo finalmente poveri, il salario del Regno sarà anche per noi. «Beati voi poveri, perché vostro è il Regno dei cieli».
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"Rigenerazioni" è stato un percorso inatteso, imprevisto, sorprendente, per me splendido. Dalle virtù e non-virtù delle imprese siamo arrivati alle beatitudini, attraversando parole dimenticate e umiliate. Da domenica prossima riprendo, con nuovo coraggio (del Direttore e mio), il commento di un altro grande libro: il Qoelhet, attendendo nuove sorprese e nuovi cieli. Conto anche questa volta sulla compagnia e sull’aiuto dei lettori, che continuano a creare con me questi appuntamenti domenicali. E, come e più di sempre, grazie a chi mi ha seguito fin qua.L.bruni@lumsa.it