venerdì 10 luglio 2015
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«Diciamolo senza timore: noi abbiamo bisogno e vogliamo un cambiamento, un vero cambiamento delle strutture. Questo sistema non regge più, non lo sopportano i contadini, i lavoratori, le comunità, i villaggi... E non lo sopporta più la Terra». La voce alta e profetica di Francesco dall’Expo Feria di Santa Cruz de la Sierra in Bolivia colpisce dritto il dominio e la dittatura dello «sterco del diavolo» che distrugge e uccide: «La sottomissione idolatrica all’avidità di denaro che controlla l’intero sistema socioeconomico, rovina la società, condanna l’uomo, lo schiavizza, spinge popolo contro popolo e minaccia la nostra casa comune». «Diciamo no a una economia di esclusione e iniquità in cui il denaro domina invece di servire». È un intervento storico in questo momento storico, affilato e allo stesso tempo 'redentivo', radicale come è radicale l’antica dottrina sociale fondata sul Vangelo, destinato a segnare il passo a scuotere le coscienze e i governi, per la lucidità del realismo e la lontananza da ogni posa utopica e ideologica quello con cui Francesco conclude qui in Bolivia il secondo grande incontro mondiale dei movimenti popolari.   «Vogliamo un cambiamento nella nostra vita, nei nostri quartieri, nel salario minimo, nella nostra realtà più vicina; e pure un cambiamento che tocchi tutto il mondo perché oggi l’interdipendenza planetaria richiede risposte globali ai problemi locali». È questo il senso di questo incontro con i diversi delegati delle diverse realtà di emarginazione già cominciato in Vaticano nell’ottobre scorso. Certamente inedito per la comprensione delle cause della moltiplicazione degli esclusi del mondo e la disponibilità ad ascoltare queste voci che disturbano lo status e capire la prospettiva di soluzione delle diverse situazioni da parte di questi gruppi popolari perché ora la Chiesa è chiamata a mostrare vicinanza «non solo verso chi soffre l’ingiustizia, ma anche nei confronti di quanti si organizzano e lottano per superarla». Perché come aveva già spiegato il Papa «non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi» e «la Chiesa non può e non deve essere aliena da questo processo nell’annunciare il Vangelo». Ed è questa la forza che contraddistingue la potenzialità di questo incontro.   «La Bibbia ci ricorda che Dio ascolta il grido del suo popolo e anch’io desidero unire la mia voce alla vostra: terra, casa e lavoro per tutti i nostri fratelli e sorelle. L’ho detto e lo ripeto: sono diritti sacri. Vale la pena, vale la pena di lottare per essi. Che il grido degli esclusi si oda in America Latina e in tutta la terra» ha detto Francesco nell’incontro a Santa Cruz. «Vogliamo che si ascolti la vostra voce – aveva detto ancora Francesco – perché infastidisce e perché si ha paura del cambiamento che esige». «Il tempo, fratelli, sorelle, il tempo sembra che stia per giungere al termine; non è bastato combattere tra di noi, ma siamo arrivati ad accanirci contro la nostra casa. Si stanno punendo la terra, le comunità e le persone in modo quasi selvaggio. E dopo tanto dolore, tanta morte e distruzione, si sente il tanfo di ciò che Basilio di Cesarea chiamava lo 'sterco del diavolo'. L’ambizione sfrenata di denaro che domina». «Non voglio dilungarmi a descrivere gli effetti negativi di questa sottile dittatura: voi li conoscete. E non basta nemmeno segnalare le cause strutturali del dramma sociale e ambientale contemporaneo. Noi soffriamo un certo eccesso diagnostico che a volte ci porta a un pessimismo parolaio o a crogiolarci nel negativo». Francesco perciò invita a non rassegnarsi perché il non avere la casa, la terra il lavoro non è il destino di nessuno e incoraggia a far sentire la propria voce per scuotere le coscienze e i governi.   «Cosa posso fare io, raccoglitore di cartoni, frugatrice tra le cose, raccattatore, riciclatrice, di fronte a problemi così grandi, se appena guadagno quel tanto per mangiare? Cosa posso fare io artigiano, venditore ambulante, trasportatore, lavoratore escluso se non ho nemmeno i diritti dei lavoratori? Cosa posso fare io, contadina, indigeno, pescatore che appena appena posso resistere all’asservimento delle grandi imprese? Che cosa posso fare io dalla mia borgata, dalla mia baracca, dal mio quartiere, dalla mia fattoria quando sono quotidianamente discriminato ed emarginato? Che cosa può fare questo studente, questo giovane, questo militante, questo missionario che calca quartieri e luoghi con un cuore pieno di sogni, ma quasi nessuna soluzione ai miei problemi? Molto! Potete fare molto. Voi, i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi, potete fare e fate molto. Oserei dire che il futuro dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative creative nella ricerca quotidiana delle 'tre T' (lavoro, casa, terra in spagnolo) e anche nella vostra partecipazione attiva ai grandi processi di cambiamento, nazionali, regionali e globali». Voi siete i seminatori di un processo di cambiamento ha detto ancora Francesco proponendo tre compiti che richiedono l’appoggio determinante dell’insieme di tutti i movimenti popolari. Il primo compito è quello di mettere l’economia al servizio dei popoli». Il secondo compito è quello di «unire i popoli» nel cammino «della pace e della giustizia». «I popoli del mondo vogliono essere artefici del proprio destino. Non vogliono tutele o ingerenze... Nessun potere ha il diritto di privare i paesi poveri del pieno esercizio della propria sovranità e, quando lo fanno, vediamo nuove forme di colonialismo».   Un colonialismo che adotta anche la faccia del «potere anonimo dell’idolo denaro» e impone «mezzi di 'austerità' che aggiustano sempre la cinta dei lavoratori e dei poveri». Un colonialismo che «genera violenza, povertà, migrazioni forzate» perché «mettendo la periferia in funzione del centro le si nega il diritto ad uno sviluppo integrale. Questa inequità genera violenza che nessuna polizia, militari o servizi segreti sono in grado di fermare». «Diciamo no a vecchie e nuove forme di colonialismo. Diciamo sì all’incontro tra popoli e culture» ha quindi ribadito Francesco. Riconosce infine che «in nome di Dio» si sono commessi «molti e gravi peccati contro i popoli» nativi dell’America. E chiede «umilmente perdono» per «i crimini contro le popolazioni indigene» durante la Conquista. La Chiesa è parte dell’identità di questi popoli, conclude il Papa, e «alcuni poteri sono determinati a cancellarla, perché la nostra fede è rivoluzionaria e sfida la tirannia dell’idolo denaro».
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