Lo stato della politica americana è preoccupante (pure per chi crede)
mercoledì 12 ottobre 2016
Gentile direttore,
ci lamentiamo della politica italiana, ma quante altre conferme dobbiamo avere di come si è ridotta la politica negli Stati Uniti? Ne sono ennesima prova le parole, affidate anche a un’intervista sul “Corriere della sera” di lunedì, della scrittrice più volte candidata al premio Nobel, Joyce Carol Oates, che vede tra i problemi del confronto in America addirittura il «fondamentalismo cristiano apocalittico». Il dramma del confronto alle presidenziali americane è duplice e consiste da un lato nel non avere un candidato repubblicano all’altezza, dotato di qualità morali e politiche che lo rendano credibile come potenziale capo di Stato, e dall’altro un mondo che si oppone a Trump che affoga, e pretende di affogarci, nella sublimazione del “pensiero debole”, in una dabbenaggine sconfortante, nella vacuità di proposte e argomenti seri, perché quando si individuano le confessioni cristiane come pericolo per questa società (e persino per la vita di Hillary Clinton) significa quanto meno essere totalmente scollegati dalla realtà: «Molti liberal (inclusa me) – ha dichiarato Oates – temono che qualche sostenitore del maniaco Trump possa cercare di assassinare Hillary Clinton; e se verrà eletta presidente, sarà costantemente un obiettivo. In parte è Trump a istigare questa gente e in parte è la follia di estrema destra della politica americana in cui una sorta di fondamentalismo cristiano apocalittico si unisce a nozioni megalomani di eccezionalismo americano». Questa deriva del pensiero e del linguaggio è anche l’esito di due mandati di politica obamiana di sottrazione degli Usa dalle responsabilità, cui ha fatto da contrappeso un radicalismo politico repubblicano che, come accade con certi movimenti populisti europei, specula su princìpi religiosi per lucro elettorale senza riuscire a dare concreta risposta ai problemi che interrogano le nostre società. Una fuga dai doveri connessi al proprio ruolo che sembra fatta apposta per la società liquida che proprio i benpensanti alla Oates ci impongono giorno per giorno e che pone un interrogativo su tutti: sono gli Usa diventati unfit to lead il pianeta?
Massimiliano Salini - europarlamentare Ppe-Forza Italia



È vero, davanti allo spettacolo offerto dalla corsa per la Casa Bianca tra Donald Trump e Hillary Clinton è più che lecito chiedersi se gli Stati Uniti d’America – “superpotenza unica” dopo il crollo dell’Urss – siano ormai inadeguati a guidare il mondo. Questo significa l’espressione inglese unfit to lead che lei, gentile onorevole Salini, cita con la scoperta intenzione di richiamare lo sferzante titolo che nel 2001 The Economist riservò, con intonazione e sfiducia “liberal”, al presidente del suo partito, Berlusconi, allora candidato premier (e poi effettivamente capo del governo per cinque anni filati). «Perché Silvio Berlusconi è inadatto a condurre l’Italia». Al di la del gioco retorico e polemico, gentile onorevole, l’interrogativo finale che lei pone è estremamente serio e attuale: gli Usa hanno una classe dirigente potenziale in grado di affrontare efficacemente da un punto di vista politico e morale le sfide di un mondo globalizzato? La risposta inclina decisamente al no, e non è una buona notizia anche per chi – come me – sogna da sempre un governo mondiale e non un predominio. A mio parere, però, alla base della domanda a cui lei dà voce c’è pure la questione posta, in modo anche ruvido, dalle riflessioni di Joyce Carol Oates, che forse meritano una rilettura anche da parte sua. Il pensiero della grande scrittrice a proposito della tenaglia tra certo «fondamentalismo cristiano» e l’«eccezionalismo» a stelle e strisce va, infatti, completato con almeno queste altre parole: «Tutti (o quasi) i nostri politici devono “credere” in Dio e Gesù Cristo mentre le loro politiche sono anti-cristiane e persino anti-umane». L’esibita lontananza, anche brutalmente xenofoba e sessista, del magnate Trump dalla visione e dall’azione sociale e pastorale della Chiesa cattolica è una conferma di tutto questo. Ma per me lo è anche, per un altro verso, certa pronunciata, algida e dirigista adesione della donna politica di lungo corso Clinton al «pensiero dominante» (dall’economia alle cosiddette politiche di «salute riproduttiva») negli Usa e non solo. Per questo ho scritto e continuo a ripetere che mai come stavolta in un voto di enorme importanza non solo per un singolo Paese c’è un corpo elettorale chiamato a scegliere tra una candidata cattiva (Mrs. Hillary) e un candidato pessimo (“The Donald”). Per questo penso che certi “campioni”, i loro slogan e giochi di prestigio non possono strumentalizzare in alcun modo la Parola che i cristiani ascoltano e testimoniano.

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