Non ci cascheremo mai! Mica faremo come i nostri genitori, sempre incollati allo smartphone come babbei, noi bambini degli anni Venti! Ma va, usciremo a giocare, a ballare, a parlare. A vivere! Guarderemo negli occhi i compagni di scuola, abbracceremo gli alberi, persino. Ma lo smartphone, no, non ci avrà mai. (Cinque volte mai). In sintesi – molto in sintesi – è il messaggio del brano che si è appena aggiudicato l’edizione numero 66 dello Zecchino d’Oro. Testi e musica di Francesco De Benedittis e dei fratelli Gazzè, Francesco e Max (tanta roba), con lo spavaldo Salvatore (9 anni, da Napoli) a metterci la voce e la faccia e la consueta esuberanza del coro dell’Antoniano, che proprio quest’anno festeggia il sessantesimo compleanno. Non ci cascheremo mai. No, perché – canta Salvatore – a me piace alzar la testa e poi sentirmi libero di andare a cercare un’altra festa per ballare un po’. Vien voglia di applaudire, non fosse che la realtà è tutta un’altra musica.
La vita non è un display, ritma il coro dell’Antoniano, e magari diventasse vero, perché adesso non lo è: già a sei, otto settimane, un poppante su cinque passa almeno un paio d’ore davanti a uno strumento elettronico, sia esso un pc, uno smartphone o un tablet. Eppure, è una certezza: fino a due anni – lo dice la scienza, se non bastasse il buon senso – neanche un minuto dovrebbe essere trascorso davanti a uno schermo, figuriamoci le ore. Quest’anno, per Natale, quanti bambini avranno chiesto una palla (ci giocheremo fino all’alba, poeteggiano i Gazzé) e quanti l’iPhone 15? Siamo noi i nuovi eroi: bella l’immagine del ritornello e ampia la possibilità di scelta per definire in cosa consista l’eroismo dei piccoli. Continuare ad ammirare i due soggetti che ti hanno messo al mondo e che vivono come manichini – testuale – nel loro inferno digitale? O che, come babbei, aspettano ventiquattr’ore col wifi i like che non arriveranno mai? Descrizione impietosa ma realistica, che messa in bocca ai bambini sorridenti sul palco dello Zecchino risulta più tagliente: gli adulti si vedono per quel che sono, un cattivo esempio. Sempre con lo smartphone a portata di mano, le orecchie attente alle notifiche, il dito pronto al post o a elargire un pollicione. Incapaci di resistere al richiamo dello schermo, dipendenti.
I bambini – che, ahinoi, non sono eroi - imitano. Se lo fanno mamma e papà, come fa a essere sbagliato? Il risultato è la moltiplicazione degli strumenti digitali, tutti ne hanno uno o anche di più. Connessi alla rete, disconnessi tra loro. Abituati all’iperprotezione (non vorrai mica andare a scuola da solo?), a essere esonerati da qualsiasi trauma o sconfitta (don’t worry, ci penso io alla maestra), i nostri bambini, nel digitale, si ritrovano spesso soli e abbandonati. L’educazione digitale degli adulti sta muovendo i primi passi, stiamo ancora gattonando, e purtroppo non basta lo strumento per fare la competenza, altrimenti, con 46 milioni e mezzo di smartphone venduti in Itala saremmo a cavallo. Insomma, tanti adulti – sì – ci sono cascati, diventando manichini e babbei quando accendono il display. Speriamo nei bambini. Lo smartphone e il pallone, il tablet e le favole, il computer e gli amici, la rete e la scuola: più sono le note, più funziona la melodia.