In Occidente, ahimè troppo spesso, si diffondono immagini distorte di un islam monolitico percepito come una civiltà aggressiva che punta a dominare il nostro continente. La realtà è ben diversa, sebbene non priva di aspetti preoccupanti: oggi l’islam è infatti profondamente frammentato al proprio interno e le violenze compiute in suo nome sono in gran parte il risultato dello scontro fra modi divergenti di viverlo e di interpretarlo. Quanto avviene in Siria è l’emblema di come un contrasto geopolitico possa rivestirsi dell’identità religiosa, divenendo per questo ancora più violento e brutale. Da anni l’Arabia Saudita, culla araba del radicalismo sunnita, si scontra con la Repubblica Islamica dell’Iran, emblema della civiltà persiana e sciita, per il predominio geopolitico in Medio Oriente. Iraq, Libano, Bahrein, Golfo, sono le tante scacchiere di questa rivalità irriducibile. R iad e le altre monarchie petrolifere si sentono minacciate da quella che percepiscono come un’ascesa degli sciiti, una minoranza di circa il 10% dei musulmani, ma molto più numerosi nel Golfo e nel Levante. La Siria è divenuta un campo di battaglia cruciale: abbattere il regime di Assad significava togliere un perno strategico cruciale all’odiato Iran. Da qui il sostegno a quei movimenti sunniti estremamente radicali e violenti del salafismo e del jihadismo che sono accorsi in questi anni da tutto il mondo arabo a combattere il jihad contro gli alawiti, ossia la piccola comunità dalle lontane origini sciite, che controlla la Siria e di cui Assad fa parte. E che hanno spinto l’Iran e la milizia libanese sciita di Hezbollah a compiere ogni sforzo per sostenere il regime di Damasco. Colorare di religioso un conflitto geopolitico è sempre pericoloso: il risultato è stato infatti quello di una progressiva radicalizzazione delle parti in gioco e l’affermazione di movimenti qaedisti e jihadisti particolarmente ostili agli sciiti (oltre che alle altre minoranze, fra cui i cristiani siriani, oggetto di crescenti violenze e minacce). Come già avvenuto in Afghanistan, Cecenia e Pakistan, una volta fomentato l’incendio jihadista, non vi è modo di controllarlo: migliaia di arabi che combattono in Siria, una volta rientrati nei loro Paesi d’origine, creano cellule che cercano di imporre la loro visione radicale e violenta, contagiando gli altri Stati. Se ne sono accorti anche i sauditi, i quali in queste settimane hanno proibito ai propri cittadini di recarsi a combattere in Siria o di sostenere le milizie là attive. Una mossa certo tardiva, dato che a migliaia si sono mossi dalla penisola arabica, mentre un fiume di petrodollari si è riversato inutilmente sulle milizie che combattevano Assad per imporre 'il vero islam'. Nonostante gli sforzi della Turchia e dei Paesi arabi, infatti, il regime di Damasco appare ancora ben saldo al potere, e l’Iran ha avuto buon gioco a denunciare il pericolo dell’estremismo sunnita. Le difficoltà delle primavere arabe hanno tuttavia evidenziato e aggravato un’altra spaccatura, tutta interna all’attivismo islamico sunnita: quello fra il cosiddetto islam politico, impersonato dal partito islamista di Erdogan in Turchia e dai Fratelli Musulmani attivi in molti Paesi arabi (e finanziati generosamente dal Qatar) da un lato e dai movimenti salafiti sostenuti dall’Arabia Saudita dall’altro. Per quanto rigido e dogmatico, l’islam politico espresso dai Fratelli Musulmani appare molto più aperto e meno illiberale della galassia di movimenti salafiti, il cui integralismo li rende ciechi e ostili a tutto quanto non appare loro come 'veramente' islamico. Nessun interesse e nessuna apertura verso i non-musulmani, odio verso gli sciiti e i musulmani laici che non seguano la loro rigidissima interpretazione della sharia. Un dogmatismo che si sposa bene con la rigidità dei sauditi, i quali hanno sempre visto con sospetto l’attivismo politico dei Fratelli Musulmani per la costruzione di Repubbliche islamiche. Obiettivo che sembra minacciare direttamente la corrotta e costosissima casa regnante al potere in Arabia. Da qui i loro finanziamenti ai salafiti e a tutti coloro che combattono l’islam politico. Con l’apparente incongruenza del sostegno da essi dato ai militari egiziani che hanno abbattuto Morsi, accusato di aver cercato di imporre una visione troppo angusta dell’islam. I salafiti egiziani sostenuti dai sauditi si sono trovati nella paradossale posizione di sostenere proprio le forze laiche e liberali che avevano sempre demonizzato, pur di non scontentare i loro ricchi finanziatori. Egitto e Arabia Saudita hanno addirittura bollato i Fratelli Musulmani come terroristi (mentre la magistratura emette insensate condanne capitali contro centinaia dei loro attivisti), e ritirato gli ambasciatori dal Qatar, reo di continuare a sostenerli. Quei Paesi hanno finanche congelato i rapporti con la Turchia di Erdogan, il quale si era proposto – all’inizio delle Primavere nel 2011 – come esempio vincente per l’islam politico (nonostante siano rimasti alleati in Siria per abbattere Assad). Insomma, un guazzabuglio inestricabile in cui il tatticismo politico prevale sull’ideologia , con partiti islamisti che da alleati si sono trovati nemici irriducibili; formazioni terroriste dapprima sostenute in nome dell’islam sunnita più puro e poi scaricate assieme alle migliaia di jihadisti volontari; partiti liberali e secolari che attaccano i Fratelli musulmani e non i partiti salafiti, molto più radicali e intolleranti dei primi. Questa spaccatura finisce con il riverberarsi anche sulle comunità islamiche in Europa, creando forti tensioni e lacerazioni, anche se spesso poco percepibili dall’esterno. Una divisione che fa probabilmente sorridere l’Iran sciita, il quale si sente ora più forte a livello regionale. Ma molto meno sorridono le indifese comunità cristiane della regione e tutti coloro i quali sperano in un Medio Oriente meno insanguinato e turbolento. Il rischio è che quest’ultima spaccatura interna ai sunniti frammenti ancora di più la realtà politica islamica, favorendo spinte centrifughe radicali. Sarebbe infatti estremamente pericoloso illudersi di regolare i conti con l’attivismo politico dei Fratelli Musulmani grazie alla repressione voluta da Egitto e Arabia Saudita: non solo perché in passato l’islam politico ha resistito a ogni tentativo di soffocamento, finendo anzi con il vedere rafforzato il sostegno popolare proprio grazie al suo opporsi a regimi illiberali. Ma soprattutto perché chi vuole schiacciare l’islam politico favorisce nel contempo il proliferare dei movimenti sunniti salafiti, che sono portatori di un messaggio ancora più radicale, dogmatico e preoccupante.