Soffriamo davanti ai morti e alle distruzioni della Laga, nel cuore stesso d’Italia. E ricordiamo. Era l’estate del 2009 e gli abitanti di Amatrice e degli altri paesini tra Lazio, Abruzzo e Marche stavano andando a dormire col terrore di essere svegliati da un terremoto. Per due mesi un interminabile sciame sismico aveva accompagnato le loro giornate. Analogo a quello che aveva preceduto la terribile scossa del 6 aprile dello stesso anno all’Aquila. Sciame purtroppo sottovalutato. I due fenomeni non erano direttamente collegati, avevano assicurato i sismologi dell’Ingv che però avevano lanciato un preciso avvertimento: secondo un "algoritmo matematico" era possibile «un terremoto della massima intensità nella Laga», cioè l’area di Amatrice. Quando? È la solita, scontata domanda che fanno gli abitanti delle aree ad altissimo rischio sismico. E la risposta degli esperti è sempre la stessa: prevedere è impossibile, prevenire è necessario. Anche allora furono chiarissimi. «Stiamo seguendo il fenomeno con attenzione e preoccupazione. Quella faglia dei Monti della Laga può generare terremoti forti, però precisiamo che non è detto possa accadere. È un fenomeno che oltre a essere importante dal punto di vista sismogenetico è anche preoccupante, senza per questo voler da parte nostra creare allarmismo. Tocca ad altri, alla Protezione civile, decidere e pianificare il da farsi». Cosa che il Dipartimento nazionale ha fatto e continua a fare malgrado il drastico ridimensionamento dopo gli scandali della cosiddetta "cricca" legati alla ricostruzione per il sisma dell’Aquila e all’organizzazione del G8 nel capoluogo abruzzese.Lo ha dimostrato nuovamente in queste ore tremende, mettendo in campo quel sistema efficiente di intervento fatto di strutture pubbliche e associazioni di volontariato, ancora una volta dispiegatosi con professionalità e cuore. Ma lo ha fatto anche prima. Abbiamo così una precisa e aggiornata classificazione del rischio sismico e altrettanto precise norme per costruire in maniera antisismica, figlie del dramma del terremoto del Molise del 31 ottobre 2002 che si portò via le vite di 27 bambini e della loro maestra nel crollo della scuola di San Giuliano di Puglia. Scuola costruita male, sopraelevandola in modo criminale come sentenziato dalle condanne fino in Cassazione. Norme certe, dunque, e un sistema di intervento che funziona. Ma anche ad Amatrice è crollata la scuola. Per fortuna è accaduto di notte, ma non doveva crollare.Lo ripetiamo da anni, a ogni sisma: non è il terremoto che uccide ma la casa che crolla addosso. Case antiche come nei centri storici di questi paesi montani, ma anche case recentissime.
No, non è accettabile che crollino villette moderne o che siano dichiarati inagibili ospedali come quello di Amatrice. Era già successo per quello dell’Aquila dove crollarono anche la Prefettura e la 'casa dello studente'. No, non possono crollare e uccidere. Non devono. La prevenzione è questa. Case solide, senza centellinare sui fondi. Anche perché ogni euro investito in prevenzione significa vite salvate e, per sovrappiù, tante altre spese risparmiate. Negli ultimi quaranta anni, i danni economici causati dagli eventi sismici sono stati valutati in circa 80 miliardi di euro, a cui si aggiungono i danni al patrimonio storico, artistico e monumentale. Rendere antisismico (e proteggere dal dissesto di territori splendidi e fragili) il nostro patrimonio edilizio è la prima grande opera della quale il Paese si deve dotare. Lo dobbiamo fare. È una scelta di vita. Una scelta di futuro. La storia di Amatrice e della valle del Tronto è costellata di terremoti distruttivi. Eventi purtroppo dimenticati. Non andava però dimenticato l’avvertimento di sette anni fa. Poca memoria e poco impegno. La faglia, la terra, ha fatto quello che continua a fare, da milioni di anni. Gli uomini non hanno fatto tutta la loro parte. È questa l’Italia che non ci piace, perché non si assume le sue responsabilità, rinvia e esorcizza, per poi magari fare affari sui drammi. Ci piace, invece, l’Italia che non aspetta, che parte, che scava, che si sporca le mani, che non guarda orari e fatiche. L’Italia degli uomini in divisa e dei volontari. Quel «comune denominatore nelle diverse tragedie che purtroppo dobbiamo documentare», ci diceva ieri una brava collega della Rai. Tra le macerie dei paesini crollati come sulle rotte dei migranti. Sono le tante persone che in queste ore si stanno mobilitando e che sicuramente domenica 18 settembre raccoglieranno l’appello per una grande colletta nazionale lanciato dalla Conferenza episcopale italiana. O come il piccolo-grande gesto di Pietro Parisi, 'cuoco contadino' di Palma Campania che destinerà ai terremotati tutto l’incasso per ogni suo piatto di 'bucatini all’amatriciana'. Bravo. Un esempio che tutti gli chef, 'stellati' e no, dovrebbero imitare. Cuore e fantasia. In questo non ci batte nessuno. Ma quelle case, per favore, non facciamole crollare più.