La caduta di Lucifero, illustrazione di Gustave Doré - Wikimedia Commons
Caro direttore,
vincendo ogni riluttanza, e lasciandomi persuadere solo dalla particolare natura del suo giornale, mi rivolgo a lei con questa lettera che ha l’unico scopo di tutelare il mio buon nome. Quale nome?, mi domanderà. Scelga quello che preferisce. Lucifero, Satana, Belzebù, Mefistofele, Pazuzu, Legione. Sono molteplice e sfuggente, qualsiasi parte del mio regno mi corrisponde. Un diavoletto di Malebolge – un Alichino, un Berlicche, un Farfarello – potrebbe sottoscrivere con la mia stessa autorevolezza il contenuto di questa lettera. Veda lei come chiamarmi, insisto. A questo punto avrà ben capito chi le scrive.
Come potrà immaginare, seguo da sempre con attenzione quel che accade nel mondo. Lo faccio fin da quando il mondo fu fondato, è la mia sola occupazione, l’arte in cui eccello. Non mi stupisco, quindi, che uno dei miei nomi sia evocato, d’istinto, ogni volta che gli esseri umani sono colpiti da una sciagura. Guerre e terremoti, cataclismi e incidenti, naufragi, incendi e, sì, epidemie, pestilenze, morie d’ogni genere: tutto viene addebitato al diavolo, in ogni calamità si è convinti di riconoscere il suo – e cioè il mio – sulfureo intervento. È un’accusa che non mi preoccupo neppure più di respingere, perché qualsiasi mia dichiarazione finirebbe per violare il mistero meglio custodito dell’intero Creato, che è quello relativo, appunto, all’origine del male. Dipende da me, non dipende? Non sarò io a rispondere, non adesso. Mi infastidisce, però, che una simile ipotesi sia applicata in modo meccanico e distratto. Per questo le scrivo. Per questo, in via del tutto eccezionale, ho deciso di rivelare almeno qualcosa della mia scienza.
Se anche il male non dipendesse da me, dal male io so come trarre giovamento. E in questo voi umani siete i miei alleati più cari, i miei collaboratori più affidabili. No, non sto denigrando le truppe della masnada infernale. Anche il più modesto fantaccino delle nostre retrovie sa bene di che cosa sto parlando, perché adopera le mie stesse armi ed è esperto nello sferrare il colpo dove voi – figli di Adamo, discendenza di Eva – siete più vulnerabili. I vostri desideri, ecco il varco, tanto poco protetto, attraverso il quale noi facciamo breccia e vi costringiamo alla resa. Anche qui, l’equivoco dilaga. Non mi occupo, né mai mi sono occupato, delle vostre preghiere. Neppure riesco a sentirle, a meno che non siano esorcismi lanciati contro di me. Quel che passa tra voi e l’Onnipotente Iddio (così lo chiamo, da sempre, perché non potrei combattere un avversario che non onoro) non è affar mio, non mi riguarda, né posso impossessarmene, fosse pure per distorcerlo e infangarlo.
C’è sempre qualcosa che mi impedisce di trionfare. Un medico che dà la vita pur di curare i contagiati, un’infermiera che si addormenta dopo una notte al pronto soccorso...
Ma i vostri desideri, ah: i vostri desideri. Quelli li conosco ancor prima che li formuliate nella mente, e ne faccio incetta, li nascondo alla vostra vista e poi torno a mostrarveli, come fossero la novità che tanto aspettavate. Voglio essere chiaro su questo, non posso correre il rischio di essere frainteso: io non esaudisco le vostre preghiere, ma faccio commercio dei vostri stessi desideri, e ve li faccio pagare cari. La cronaca di questi giorni, se interpretata senza pregiudizio, costituirebbe la miglior conferma di una verità tanto semplice. Guardo le strade deserte, contemplo le città assediate, quasi mi commuovo davanti allo spettacolo di tante porte chiuse. Non era questo che avete desiderato?, mi domando in cuor mio, giù nei recessi di questo cuore che la vostra imperfezione rende ancora più tenebroso. Volevate sentirvi al sicuro e ora vi è stata concessa la più inviolabile delle reclusioni. Gli altri vi infastidivano, tanto da convincervi che fossero l’inferno (avrà colto la citazione, spero: sono sempre stato un tipo da buone letture), e degli altri adesso potete fare a meno, rinchiusi come siete nei vostri appartamenti. E il mondo, in fondo, non vi accontentavate ormai di scrutarlo da lontano, facendo scorrere immagini e immagini sugli schermi dei vostri apparecchi? Bene, adesso del mondo non vi restano che quelle vignette un po’ irreali, sorrisi ridotti a ghigni, tramonti che d’improvviso vi appaiono minacciosi. Era questo che volevate, ammettetelo. Siete i benvenuti, non avete di che lamentarvi.
Certo, i desideri hanno un prezzo ed è molto alto, come ho detto. Basta con i viaggi e con gli abbracci, basta con le serate al ristorante e con il giro per negozi. Fosse soltanto questo, sarebbe ancora tollerabile. Non potevo lasciarmi l’occasione di alzare la posta, non le pare, direttore? Via il lavoro, via la benevolenza. Ognuno faccia per sé, il sospetto galoppi, la meschinità detti legge. La mia è un’arte antica, lo rivendico, ed è una scienza sopraffina. Ma non riesce mai a essere perfetta. C’è sempre qualcosa che mi impedisce di trionfare e anche in queste ore, mentre mi nutro del vostro spavento e mi delizio delle vostre divisioni, già avverto uno scricchiolare di crepe che insidia il mio impero. Basta poco, meno di quanto crediate. Pochissimo è più che abbastanza. Un medico che dà la vita pur di curare i contagiati, un’infermiera che si addormenta stremata dopo una notte al pronto soccorso, un capitano che scende per ultimo dalla nave infetta, una madre che rassicura i suoi bambini, un padre che non rinuncia a giocare con loro. Anche i miei nemici sono legione. Chi attenua la solitudine di un anziano portandogli la spesa su per le scale, in un brutto palazzo senza ascensore, chi ancora presta ascolto alla povertà dell’altro, chi dona denaro, chi è generoso del suo tempo o anche solo di uno sguardo. Vacillo sotto questi colpi, per poco non dispero per ognuno di questi affondi. Non ci si comporta così per soddisfare un desiderio ed è quando agite in questo modo che voi esseri umani mi risultate incomprensibili. Da dove vi viene questa tenerezza, qual è l’origine di questo amore?
Il bene, per me, è un mistero non meno insondabile di quanto il male lo sia per voi. Forse riuscirei a capirne di più se potessi origliare le vostre preghiere, ma quel che passa tra voi e l’Onnipotente Iddio è fuori dal mio dominio. L’ho già detto, è vero. Ma lo ripeto perché non tollero che la mia reputazione esca sminuita da questa vicenda grandiosa. Vorrei tanto vincere la battaglia, almeno una volta. Ma nessuno può soddisfare i desideri del diavolo, che si fa forte dei desideri altrui. Voi non lo sapete, creature fragili e ingenue, ma vincerete di nuovo, come sempre avete fatto. A sconfiggermi è sufficiente una carezza, anche se accennata da lontano. Non è colpa mia se neppure questo virus porterà l’inferno sulla terra. Per questo le ho scritto, Direttore, per questo la saluto con tutta la solenne tristezza dei dannati. Decida lei quale firma apporre a questa lettera.
Poiché la sua impronta in quel che stiamo vivendo si vede benissimo, ho deciso di non darle la soddisfazione di firmare questa lettera, ma di rendere pieno onore al collega Alessandro Zaccuri, «traduttore dalla lingua infernale». La saluto con cristiana speranza. (mt)