Glorioso patriarca san Giuseppe, il cui potere rende possibili le cose impossibili, vieni in mio aiuto in questo momento di angustia e difficoltà. Prendi sotto la tua protezione le situazioni tanto gravi e difficili che ti affido affinché abbiano una felice soluzione». Sono le parole di una preghiera a san Giuseppe “cucita” da Bergoglio ai tempi del suo episcopato a Buenos Aires. L’aveva fatta stampare dietro a una immaginetta dello Sposo di Maria e non mancava di inviarla insieme a quella della “Madonna che scioglie i nodi” e a quella di santa Teresa di Lisieux. Una sorta di “terna celeste” puntualmente siglata dalla sua firma tipica: «Non ti dimenticare di pregare per me».
Quest’invocazione a san Giuseppe torna ora più che mai opportuna e attuale in tempo di pandemia. Anche ieri al termine dell’udienza generale, al «Custode della Santa Famiglia» il Papa ha chiesto «che custodisca in modo speciale la nostra famiglia, le nostre famiglie, in particolare gli ammalati e le persone che stanno prendendosi cura degli ammalati: i medici, gli infermieri, le infermiere, i volontari, che rischiano la vita in questo servizio». Proprio oggi, memoria di san Giuseppe, la Conferenza episcopale italiana ha invitato a una preghiera corale alle 21 per invocare la protezione del santo Custode del Signore e dell’umanità.
Che papa Francesco sia particolarmente legato a san Giuseppe è arcinoto da tempo.
Non solo in molte occasioni ne ha parlato, s’è raccomandato a lui e ha esortato a raccomandarsi, ma è quasi profetico che la stessa storia religiosa dell’allora giovanissimo Jorge Mario Bergoglio sia cominciata proprio dalla Basilica di San José de Flores a Buenos Aires, nel mezzo del suo barrio natìo, a pochi passi da casa sua, in calle Membrillar 531. Salendo i gradini bianchi di quella Basilica nella primavera australe del lontano 1953, non ancora diciassettenne, aveva scoperto la sua vocazione sacerdotale. E proprio sotto la protezione del santo «forte e silenzioso » ha avuto inizio ufficiale il suo Pontificato nel 2013, con la Messa inaugurale celebrata proprio il 19 marzo, festività del Santo custode.
C’è qui il filo di un legame profondo che tiene uniti san Giuseppe e il ministero petrino di papa Francesco, chiamato a custodire il depositum fidei, e che si racchiude dunque proprio in questo verbo: «Custodire». A Giuseppe – spiegava l’allora arcivescovo di Buenos Aires nel 2007 – Dio conferisce «l’enorme responsabilità e il privilegio di essere il padre adottivo di Suo figlio». Giuseppe è «l’uomo che custodisce, l’uomo che fa crescere, l’uomo che porta avanti ogni paternità e ogni mistero, ma non prende nulla per sé», ha detto il 20 marzo 2017 in una delle Messe mattutine a Santa Marta. «Sulla mia scrivania ho un’immagine di san Giuseppe mentre dorme e quando ho un problema o una difficoltà io scrivo un biglietto su un pezzo di carta e lo metto sotto la statua di san Giuseppe affinché lui possa sognarlo.
Questo gesto significa: prega per questo problema!», disse ancora nel 2015 a Manila nell’incontro con le famiglie, e aggiunse: «Giuseppe è l’uomo che agisce anche quando dorme perché sogna quello che Dio vuole». Fin dall’omelia per la Messa d’inizio del suo ministero petrino Francesco si è soffermato a lungo su questo. «Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!». Una strada indicata anche alla responsabilità di ciascuno: «È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi».
E già allora disse che quando «si viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna». E concluse: «Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!». Oggi, più che mai, quelle parole ci sono di sostegno e di conforto nella preghiera a Maria, e con lei al Santo Custode, per la fine della pandemia.