Approda in Italia con due date – domani a Ferrara e domenica a Roma, il terzo appuntamento sarà invece il 25 luglio a Monza – il rock di Bruce Springsteen e degli storici compagni della E Street Band. Una festosa “macchina rock” capace di generare un impasto unico, fatto di attese, chilometri, emozioni, sudore, canzoni urlate a squarciagola e, soprattutto, di voglia di condivisione (emotiva e fisica). Mentre assistiamo a un deperimento della sfera pubblica in quasi ogni sua forma, il grande rock conserva ancora la capacità di mobilitare cuori e gambe (e cervelli). Una “forza” rituale della quale Springsteen resta uno dei più formidabili interpreti e che non conosce crepe o incrinature. Perché? Cosa si celebra dentro arene immense in grado di ospitare, di volta in volta, folle oceaniche di fan? Quale fluido misterioso scorre tra le persone che cantano, ballano e sudano giù dal palco e quelle che cantano, sudano e ballano (età permettendo) sul palco? Certo il potere della musica, certo la potenza evocativa dell’evento.
Ma, ancora di più, c’è un “ingrediente” segreto al cuore della festa rock: il desiderio di comunità. Perché dentro le arene si addensano migliaia di biografie, e i palpiti, i ricordi, i dolori e le gioie di ognuno assomigliano (terribilmente) a quelle degli altri e assomigliano (terribilmente) alle storie narrate, in 50 anni di carriera, dall’artista americano. D’altronde l’intera produzione di Springsteen è una tormentata, a tratti ossessiva ricerca – personale e poetica assieme - della comunità nella quale radicarsi, nella quale trovare il “proprio posto”. Se l’universo poetico giovanile di Springsteen ospita una serie di “vagabondi” – « Il paradiso ci attende lungo la strada», canta il protagonista di Thunder Road –, ben presto il senso del loro andare si smarrisce. Gli uomini soli di Streets Of fire, State Trooper o di Stolen Car hanno paura di perdersi nell’indistinto, di dissolversi «nella notte nera come la pece». In Born In The U.S.A. – l’album del 1984 che ha consegnato Springsteen a una fama planetaria – c’è l’epitaffio del mito della strada: « Nessun posto in cui correre, nessun posto in cui andare».
Con l’album Tunnel Of Love, la corsa dei personaggi di Springsteen finisce in una casa: una casa ora foderata dalla luce di Dio, ora abitata dal dubbio, dalla disillusione, dal tradimento. Il “salto” avviene con gli album della maturità. Per la prima volta la destinazione della corsa non è più la vita a due, ma “la città fortunata”, il “mondo reale”. La comunità. All’automobile, simbolo per eccellenza della corsa solitaria, subentra il treno, un treno lanciato verso la salvezza. Non è un caso che la comunità – la comunità ferita, smarrita, assediata – diventi protagonista di dischi come Magic o Wrecking Ball. La comunità è qualcosa che è, al tempo stesso, alle proprie spalle e davanti a sé, è nel passato e nel futuro, è persa e inseguita. Il cammino verso casa resta «lungo e faticoso». Springsteen misura la distanza tra la realtà e il sogno.
E la realtà è la morte che «fa irruzione nella tua città», i «banchieri rapaci», i «soldi facili». «Che fine ha fatto la promessa, dove sono finiti i cuori pieni di misericordia?», si chiede il Boss in We Take Care Of Our Own. La battaglia si gioca contro «l’isolamento americano», alla ricerca di qualcosa che invece colleghi a una famiglia, agli amici, alla comunità. Decisiva è la scrittura dell’album Nebraska (1982), quando il rocker si isola, si chiude nella sua tenuta e si mette a registrare da solo. Fino a quel momento, le sue produzioni erano state sempre corali, sontuose, ora Springsteen si trova alle prese con un materiale spoglio, livido, spettrale. Nebraska è abitato da spettri, ascoltandolo si avvertono i fantasmi che si mischiano al canto di Bruce: lo spettro del padre, lo spettro di un assassino, lo spettro di uomini in bilico tra salvezza e perdizione.
La comunità di cui il cantante americano va alla ricerca sfonda il perimetro usuale, è pronta ad accogliere altre dimensioni. Springsteen inizia a cantare la comunità dei morti. Nell’ultimo album di inediti Letter To You – una sofferta meditazione sulla mortalità - Bruce canta gli «spiriti pieni di luce»: «siate la mia guida», invoca in Ghosts. È il tema dell’eredità. E l’eredità non è solo ciò che si lascia ai figli, ma anche ciò che si raccoglie dai padri.