Le Vele, il nome bellissimo di un fallimento colossale
mercoledì 24 luglio 2024

Le chiamarono pomposamente “vele”. Bellissimo, la vela dice mare, vento, mete da raggiungere. La vita è un viaggio. I cannocchiali devono sempre essere puntati a scrutare gli orizzonti. Le Vele di Scampia si rivelarono, invece, un fallimento colossale. A dire il vero, non proprio difficile da prevedere. Non si ammassano centinaia di famiglie povere all’estrema periferia della città, abbandonandole a sé stesse. Lo sanno tutti che è in questo modo che nascono e prolificano i ghetti. Non si lucra sulla qualità dei materiali – sempre scadenti ma pagati a caro prezzo – adoperati per l’edilizia popolare. E occorre contrastare quella sorta di “selezione naturale” che porta le classi più agiate e colte lontano da quelle meno abbienti. È difficile, lo so, ma necessario. Si chiama, cristianamente, fratellanza, comunione. O, laicamente, condivisione. In politica potrebbe andare sotto il nome di “Piano cittadino per una intelligente sistemazione urbana”. La delinquenza, non sempre, ma spesso, è figlia del degrado. Gli onesti, da sempre, sono vittime, silenti e rassegnate, dei delinquenti. Un animo esasperato è portato facilmente a fare guai, a procurare sofferenze al prossimo. La serenità è un ingrediente fondamentale nella cucina della vita.

Occorrerebbe inventare una sorta di “Ministero per la serenità”. Non sto scherzando. Una equipe capace di prevedere dove certe idee bislacche, una volta realizzate, possono portare. Abbiamo, a Napoli come altrove, palazzi storici di una bellezza straordinaria. Dopo centinaia di anni stanno ancora al loro posto. La maggior parte delle Vele di Scampia, dopo pochi decenni, dovettero essere abbattute, con grande spreco di energie e denaro pubblico. Quanto erano costate? Chi le aveva volute e perché? Possibile che tra tanti esperti di urbanistica, architetti, progettisti, economisti, politici, nessuno si accorse che, invece di navigare in mare aperto, esse, le vele, si sarebbero afflosciate su se stesse nel peggiore dei modi? La Vela celeste – e mi rimbombano nella mente le note della bella canzone di Zucchero. Celeste è il colore che assume il cielo quando l’azzurro si fa più tenue, più sfumato, meno arrogante – la Vela celeste, dicevo, fu risparmiata. Ristrutturata, sarebbe assurta a simbolo del riscatto. Sta ancora al suo posto. “Il degrado è sotto gli occhi di tutti” ha detto Michele Di Bari, prefetto di Napoli, giunto nel cuore della notte a Scampia. Dopo il colera che colpì Napoli nel 1884, il governo dell’Italia unita – per motivi igienico-sanitari – decise di sventrare la città. I vicoli stretti e fatiscenti necessitavano di aria, di luce, di spazi. Occorreva “risanare” il centro storico. Come sempre ci furono ritardi, imbrogli, furbizie, meschinerie. Tante chiese e conventi furono abbattuti, tanti tesori andarono perduti. Fu il prezzo da pagare a un progetto che mise al centro la salute e il benessere psichico ed economico dei cittadini. Quell’ingorgo di viuzze, gradinate, cortili, bassi, però, si era sedimentato nel tempo, per dare rifugio ai miseri, luogo di preghiera ai credenti, lavoro ai precari che vivevano di stenti. Scampia, no. Scampia fu progettata a tavolino. Alle soglie del terzo millennio. Da specialisti.

Le Vele dovevano essere belle da vedere e comode da viverci. Si sono rivelate l’esatto contrario. Lunedì sera, nella Vela celeste, Margherita e Roberto, zia e nipote, 35 e 29 anni, hanno trovato la morte. Mentre altre persone lottano nei vari ospedali di Napoli. Tra esse, sette bambine, di cui due in pericolo di vita. Sono rimasti schiacciati sotto il crollo di un ballatoio di acciaio. “Una morte annunciata – dicono i residenti – più volte abbiamo denunciato gli scricchiolii”. Se sia annunciata, non lo so, di certo molto prevedibile. La magistratura farà la sua parte per stabilire omissioni, responsabilità, condanne. A tutto c’è rimedio. Alla morte, no. E adesso, carissimi Margherita e Roberto, prendete il largo. Guardate in alto. Fissate il cielo. La Vela celeste, nel peggiore dei modi, ha mantenuto la parola data.

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