Sono state dunque entrambe respinte, le mozioni di sfiducia nei confronti dei ministri Matteo Salvini e Daniela Santanchè. Due votazioni che, come ampiamente previsto, non sono state in grado di mettere in forse gli incarichi dei due esponenti del governo né di scalfire la compattezza della maggioranza parlamentare. Anzi, in entrambi i casi si sono registrati alcuni “distinguo” tra le variegate schiere delle opposizioni e nessuno nel centrodestra. È più che legittimo, perciò, che il cittadino mediamente informato (come per altro fanno anche autorevoli giuristi) si domandi se questo tipo di iniziativa parlamentare abbia ancora, o abbia mai avuto, un senso.
Per cercare di rispondere occorre fare un breve riassunto che ci porta indietro di 40 anni: fu nel 1984 che la Giunta per il regolamento del Senato ammise la prassi della mozione di sfiducia individuale. Questa infatti non è esplicitata in Costituzione, il cui articolo 94 prevede soltanto la mozione di sfiducia all’intero governo. Da allora ne sono state presentate in tutto 77, delle quali però soltanto 35 effettivamente discusse e votate (fonte Openpolis). E appena una approvata, quella nei confronti di Filippo Mancuso, ministro della Giustizia del governo Dini, perché fu sfiduciato dalla maggioranza. Era il 1995.
Nel 1996, poi, la sentenza della Corte costituzionale sul ricorso dello stesso Mancuso diede piena legittimità alla mozione individuale di sfiducia. La cui inefficacia è tuttavia messa impietosamente a nudo dalle statistiche e dalle cronache, tanto che più di un costituzionalista ha proposto di sostituirla con la facoltà, per il presidente del Consiglio, di chiedere al capo dello Stato la revoca del ministro “nel mirino”. Del resto - come è logico, anzi matematico - senza la volontà di almeno una parte della maggioranza di turno, le mozioni individuali non passano, e nessuno si vuole prendere la responsabilità della crisi di governo che fatalmente ne deriverebbe, per reazione del partito del ministro sfiduciato.
Malgrado ciò, proprio nelle ultime legislature, con l’affermarsi di posizioni apertamente anti-politiche, sono state depositate un gran numero di mozioni individuali di sfiducia: 26 nella XVII legislatura, 11 nella successiva. Tutte bocciate, come abbiamo visto. In questa, la XIX, siamo già a due e non si può sottovalutare il rischio che iniziative come queste riescano soltanto a fomentare ulteriormente le opposte “fazioni” in un quadro politico estremamente polarizzato e ideologizzato, ma a ben vedere vuoto di contenuti reali. Azioni vane per una politica vana, insomma.
Eppure le Camere sono l’anima di una democrazia parlamentare come la nostra e dovrebbero mantenere sempre quella solennità che è forma, e quindi anche sostanza, delle istituzioni. Invece lo stesso impegno profuso in questi giorni pro o contro Salvini e Santanchè (nella consapevolezza, lo ripetiamo, che nulla sarebbe cambiato) non si è visto due giorni fa, di mattina, quando il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ufficializzato davanti alle commissioni Bilancio di Senato e Camera, congiunte ma quasi deserte, che l’Italia andrà incontro alla procedura della Commissione Ue per deficit eccessivo. Ed è assai frequente vedere le Aule semivuote quando qualche ministro risponde a interrogazioni parlamentari, magari pubblicizzate per giorni e giorni come “urgentissime” su fatti quasi sempre “inaccettabili” o “vergognosi”.
Si fa un gran parlare dei pericoli che il ruolo del Parlamento correrebbe con l’approvazione del premierato. Ma il Parlamento, per ricevere ed esigere il rispetto che i Costituenti gli hanno attribuito, dovrebbe dimostrare innanzi tutto di rispettare se stesso.
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