Le pagine ancora non scritte
sabato 4 febbraio 2023

Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che ‘l mio viso in lei tutto era messo
Dante Alighieri
Paradiso XXXIII, 127-132


Rileggere ogni tanto i libri più amati è un ottimo esercizio per comprendere lo sviluppo morale della propria anima. Dopo anni potremmo accorgerci di provare di fronte alle stesse pagine emozioni diverse da quelle di ieri. Rincontriamo personaggi che avevamo detestato e quello sdegno ci aveva fatto migliori, e improvvisamente ci ritroviamo dentro una nuova strana compassione, e fiorisce una pietas sconosciuta. La vita e il dolore ci hanno ammansiti e ci hanno insegnato che, sotto i peccati e le cattiverie, sulla terra c’è una innocenza radicale custodita nel cuore di ogni persona. E finalmente la vediamo, la riconosciamo, ci commuove, ci intoniamo con essa.

La grande letteratura è essenziale anche per questi esercizi improbabili di empatia. La lettura biblica, poi, ci consente di svolgere questo esercizio nello sviluppo della lettura di un solo libro. Non c’è bisogno di anni, è possibile che questa nuova pietas maturi capitolo dopo capitolo nel giro di pochi giorni. Senza volerlo né saperlo, ci commuoviamo per Caino il fratricida, per Saul ripudiato, per i fratelli che vendono Giuseppe, per il giovane ricco che non passa per la cruna, per il levita e il sacerdote che vedono e passano oltre. E ci nasce un desiderio profondo e invincibile che nessuno sia privato della dignità di riconoscere il proprio volto nell’“effige pinta” nel cuore di Dio.


La triste fine del crudele Aman e la vittoria di Ester ci offrono l’occasione per comprendere nuove dimensioni dell’umanesimo biblico e del ruolo etico della nostra lettura

«Poi Aman raccontò a Zosara, sua moglie, e ai suoi amici quello che era accaduto. Allora gli amici e la moglie si rivolsero a lui con queste parole: “Se Mordecai è della stirpe dei Giudei, comincia ad abbassarti davanti a lui, cadendo ai suoi piedi: tu non potrai resistergli, perché il Dio vivente è con lui”» (Ester 6,13). Dopo che le sorti (purim) di Mordecai e del primo ministro Aman hanno iniziato a invertirsi, Aman è tornato a casa, e lì ha sentito pronunciare da sua moglie parole di verità che non avrebbe voluto mai sentire. Zosara era entrata in scena nel capitolo 5, con un ruolo diverso, quando suo marito era al culmine del successo e si preparava al banchetto con Ester e il re – anche qui si ribaltano i ruoli e le sorti: «Tornato a casa sua, Aman chiamò gli amici e sua moglie Zosara… gli dissero: “Fa' preparare un palo alto cinquanta cubiti e domani mattina dì al re di farvi impiccare Mordecai; poi tu va' al banchetto con il re e stai allegro”. La cosa piacque ad Aman, e si preparò il palo» (5,10-14).

Antica pessima abitudine dei capi persiani-iraniani quella di far impiccare le vittime su pali alti (circa 25 metri), pali di legno o gru di ferro. In un universo biblico abitato da donne-stelle che lasciano scie brillanti di luce sapienziale, ogni tanto compare una donna che interpreta una parte buia. Zosara è compagna di Gezabele ed Atalia, donne e mogli che ordiscono piani di morte e pronunciano parole di maledizione. La storia umana è fatta anche di decisioni di maschi potenti che nascono nel dialogo intimo della casa con le donne; spesso, quasi sempre, queste parole diverse e buone umanizzavano (e umanizzano) loro e il loro potere, ma qualche rara volta li imbestialivano e li peggioravano. La Bibbia non è ideologica anche per questo continuo scambio di ruoli e di “sorte”, che non blocca categorie sociali, generi e persone nelle trappole perfette dei “sempre” e dei “mai”.

«Essi stavano ancora parlando, quando giunsero gli eunuchi e in fretta portarono Aman al banchetto che Ester aveva preparato» (6,14). Dopo due rinvii consecutivi, eccoci giunti al centro drammatico del libro di Ester: «Il re disse a Ester: “Che c'è, regina Ester? Qual è la tua domanda e quale la tua richiesta? Fosse anche la metà del mio regno, ti sarà data”» (7,1-2). Torna di nuovo quella “metà del regno” che ai lettori del Nuovo Testamento richiama Erodiade – la Bibbia va letta tutta assieme, e qualche volta la luce di un personaggio in un libro serve a compensare il buio di un altro, e così ridurre l’impatto etico e spirituale globale. Ecco la richiesta che tanto abbiamo atteso: «Se ho trovato grazia davanti al re, sia risparmiata la vita a me, secondo la mia domanda, e al mio popolo, secondo la mia richiesta» (7,3). Disse il re: «Chi è costui che ha osato fare queste cose?» (7,5-6).

In alcune circostanze decisive, gli esseri umani conoscono una forza diversa e infinita, le donne diversamente e di più. L’abbiamo incontrata molte volte anche nella Bibbia: in Noemi che insegna a Rut come conquistare Boaz per avere un futuro, nella donna sunammita che non crede nella morte del suo bambino e “ruba” al profeta Eliseo la resurrezione del figlio, in quelle donne che riescono a stare sotto la croce mentre tutti i maschi fuggono impauriti. Forse, in quei pochi momenti decisivi, solo loro possiedono la grammatica dei tempi, soprattutto quando sono in gioco la vita e la morte di chi amano. In questi frangenti indovinano perfettamente i ritmi delle azioni e la scelta delle parole. Sono maestre di logos e di incontri, sanno trascorrere ore tutte immerse e perse in dialoghi per il solo gusto del conversare, sanno tacere per giorni, anni; ma quando arriva quel preciso momento si ritrovano una forza che ci appare illimitata, e non sono più intimorite dai potenti, dai re, da Dio. Eccone qui una dimostrazione, tra le più efficaci e belle di tutta la Bibbia: «Ester rispose: “Aman è quel malvagio”» (7,6). Ester sente che in quella risposta si concentra in un solo punto tutto il suo destino, che è arrivata al centro della sua meravigliosa favola di ragazza esule diventata regina: intuisce che quella favola si inseriva dentro un mistero molto più grande.

E noi in questa frase di Ester rivediamo la stessa forza di alcune parole di mogli, madri, sorelle, figlie che in un momento cruciale della loro vita hanno trovato una forza nascosta soprattutto a loro stesse e hanno pronunciato solo quelle parole giuste – “basta”, “è finita”, “vai via”, “sì”, “no”, “vergognati”. Nella prova generale eseguita da sole davanti allo specchio non erano mai riuscite a dire quella frase tremenda con quella perfezione; ma una volta dentro il dramma, ce l’hanno fatta, qualche volta, una volta sola. Sono riuscite a parlare anche di fronte ai grandi, ai forti, al primo ministro Aman spietato e cattivo, per quella forza unica che la vita ogni tanto associa a questo tipo di fragilità che fa aprire il cielo, che le donne condividono solo con i poveri e con gli angeli. Qualche volta lo sforzo ciclopico di questi momenti genera stanchezze lunghe, qualche volta troppo lunghe e dolorose; ma quelle parole-parto le hanno salvate e hanno salvato tutti. Sta in questo rapporto speciale delle donne con la parola, con le parole e con le relazioni una dimensione dello speciale dolore che accompagna la loro vita fin da piccole, ma è anche questo il segreto della loro capacità di ascoltare le voci degli angeli e di Dio e di custodire la fede –quando tornerà il Signore, se troverà ancora la fede sulla terra, a salvarla sarà stata una donna, magari senza accorgersene mentre seguiva la traccia di un istinto di vita.

Queste parole, poi, hanno una speciale capacità performativa: a esse non si replica, non si può replicare, perché hanno la natura di parole-carne, si impongono da sé, e ci si ritrova di fronte a esse come davanti a un bambino. Così, né il re né Aman parlano: «Aman fu preso da terrore in presenza del re e della regina. Allora il re si alzò nella collera dal banchetto per andare nel giardino» (7,6-7). Aman capisce che le sorti si sono ribaltate definitivamente. Il re esce a prendere una boccata d’aria, in preda di nuovo alla collera, sperando di distendere un po’ i nervi messi a dura prova. Nel frattempo, Aman terrorizzato tenta l’ultima risorsa: si getta ai piedi di Ester e la implora di salvarlo. Un ulteriore equivoco finisce poi per perfezionare la condanna di Aman: «Il re ritornò dal giardino, e intanto Aman si era lasciato cadere sul divano supplicando la regina. Allora il re disse: “Vuole anche violentare mia moglie in casa mia?”» (7,8).

E qui, di fronte ad Aman implorante pietà, entriamo sulla scena noi lettori. Abbiamo seguito Aman nel suo intento omicida. Lo abbiamo criticato, disprezzato, ci siamo indignati, e per quella ignoranza intenzionale necessaria quando si legge e si rilegge un libro biblico (o un libro grandissimo) non abbiamo voluto conoscere l’esito del suo piano di sterminio. Abbiamo solo desiderato, pregato, che Mordecai ed Ester riuscissero a fermare la sua mano assassina. Ma ora mentre la nostra preghiera-desiderio sta per essere finalmente esaudita e lo vediamo cadere ai piedi di Ester, qualcosa cambia, qualcosa può cambiare, perché qui la Bibbia ci chiede di fare la nostra scelta etica. Possiamo continuare a godere di fronte ad Aman divenuto debole e sconfitto, possiamo gioire per le sorti ribaltate e la giustizia fatta, e usciamo dal libro come vi siamo entrati. Ma possiamo anche decidere di non godere nel leggere la fine di Aman: «Bugatàn, uno degli eunuchi, disse al re: “Ecco, Aman ha preparato anche un palo per Mordecai…”. Disse il re: “Sia impiccato su quel palo”. Allora Aman fu appeso al palo che aveva preparato per Mordecai. E l'ira del re si placò» (7,9-10).

Anche questa volta possiamo ritrovarci dentro l’anima una strana, buona e inattesa pietas, che non ci fa godere della rovina degli altri anche quando sono tremendi e cattivi, anche quando la loro fine era già inscritta nel copione – noi abbiamo la libertà di cambiare i nostri copioni e quindi abbiamo la responsabilità morale di cambiare nella nostra anima anche quegli degli altri. E così, quando avvertiamo questa compassione (non necessaria, solo possibile), possiamo improvvisamente scoprire che noi siamo i personaggi del libro di Dio, salvati e amati anche quando interpretiamo la parte maledetta; e se ci fosse qualcuno nell’universo capace di guardare Dio mentre ci legge, lo vedrebbe commuoversi nel rileggere le nostre storie buie, e dopo ogni rilettura amarci di più.

La Bibbia attende, ogni giorno, che noi scriviamo con la penna dell’anima pagine che non sono state ancora scritte: quelle che parlano del fratello maggiore che accompagna il padre ad accogliere il figliol prodigo e poi prepara il banchetto, dei due ladroni che arrivano insieme in paradiso, di Giuda che mentre sente pronunciare soltanto per lui la parola “amico”, piange e poi grida: “Mio Signore e mio Dio”.

l.bruni@lumsa.it


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