La Russia ha invaso l’Ucraina con la scusa di anticipare una possibile aggressione occidentale. Le analogie con Cecenia e Siria - Ansa
Le guerre non ristabiliscono diritti, ma spostano confini e ridistribuiscono poteri» (H. Arendt). Impossibile illustrare con maggiore chiarezza la realtà "cainitica" della guerra, stregata dalla potenza e tesa a rimodellare l’assetto geopolitico mondiale. Invece occorre dire: Non abituiamoci alla guerra, e ancor meno a quella preventiva, in cui si aggredisce per primi per ottenere maggiori possibilità di successo e di prostrazione dell’avversario.
Nel conflitto contro l’Ucraina la strategia russa è stata questa. In un’intervista concessa al "Corriere della Sera" (8 aprile 2022) Sergej Karaganov, ex consigliere presidenziale di Yeltsin e di Putin e ancora attivo nel circolo dei putiniani, ha dichiarato, riferendosi ad alcuni anni fa: «Il conflitto (con l’Ucraina) stava già diventando probabile. E abbiamo visto divisioni e problemi strutturali nelle società occidentali, così il Cremlino ha deciso di colpire per primo. Tra l’altro, questa operazione militare sarà usata per ristrutturare la società russa: diventerà più militante, spingendo fuori dall’élite gli elementi non patriottici». La “dottrina Putin” elaborata da Karaganov teorizzava già nel 2019 l’invasione dell’Ucraina. Nel discorso a Mosca del 9 maggio scorso Putin non ha smentito, ma avallato l’assunto del primo colpo. Per giustificare l’invasione dell’Ucraina ha sostenuto che «la Russia ha reagito preventivamente contro l’aggressione». Si riferiva a un presunto attacco della Nato per invadere «le nostre terre storiche, compresa la Crimea; una minaccia per noi assolutamente inaccettabile, sistematicamente creata, direttamente ai nostri confini... Il pericolo è cresciuto ogni giorno; il nostro è stato un atto preventivo, una decisione necessaria e assolutamente giusta, la decisione di un Paese sovrano, forte, indipendente».
Secondo Sergej Karaganov questa operazione militare sarà usata per ristrutturare la società russa: diventerà più militante, spingendo fuori dall’élite gli elementi non patriottici
L’attuale guerra preventiva non è l’unica del nuovo secolo. Nella memoria di molti rimane l’attacco all’Iraq da parte degli Stati Uniti guidati dal presidente George W. Bush (insieme ad alcuni altri Stati). Essa iniziò il 20 marzo 2003 e terminò formalmente il 18 dicembre 2011 quando venne instaurato un regime ufficialmente democratico, col passaggio dei poteri alle autorità irachene, insediate dagli Usa. L’intento primario della guerra era un "cambio di regime": deporre Saddam Hussein, inviso sin dalla prima guerra del Golfo. L’attacco si basò in buona misura su una supposizione rivelatasi falsa: il possesso da parte di Saddam di armi biologiche e la sua capacità di produrre in breve tempo missili che avrebbero raggiunto e colpito la Gran Bretagna in pochi minuti: così dichiarò Tony Blair spalleggiato da Bush jr. Come è noto, una missione di ispettori Onu non scoprì nulla di quanto invece secondo la Cia doveva scoprire. Successivamente il Segretario di Stato C. Powell all’Onu cercò di convincere l’assemblea mostrando una piccola provetta, sostenendo che contenesse antrace. Anni dopo Powell, senza più cariche ufficiali, ammise l’errore e considerò quel discorso una macchia sulla sua carriera. Nel 2015 in un’intervista alla Cnn anche Blair riconobbe in buona misura di aver sbagliato.
La vittoria militare americana aprì un terribile periodo per il popolo iracheno, diviso in fazioni e consegnato a una guerra civile e a terrorismi che mieterono un numero assai alto di vittime civili, oltre a causare un’instabilità strutturale dell’intero Medio Oriente che perdura. L’attacco all’Iraq si appoggiava sulla nuova dottrina Usa, teorizzata nella “Strategia della sicurezza nazionale” del settembre 2002, un anno dopo la tragedia delle Torri Gemelle dell’11 settembre che colpì al cuore la nazione americana. In quel documento si affermava che «la migliore difesa è un buon attacco». Una volta concepito il mondo come un composto formato da Stati per bene e “Stati canaglia” e minacciato dal terrorismo, la conseguenza era questa: «Non possiamo lasciare che i nostri nemici sparino per primi... Maggiore è la minaccia e più impellente la necessità di intraprendere un’azione anticipatoria in difesa di noi stessi, persino nell’incertezza del luogo e dell’ora dell’attacco da parte del nemico».
Le due maggiori potenze mondiali (sino a poco fa) non sono riuscite a scampare alla maledizione della guerra preventiva, e l’Onu purtroppo si è mostrata impotente a sanare il guasto. In Iraq e in Ucraina è stato scavalcata come un aggeggio inutile, cui ricorrere solo quando serve per i propri interessi. Nessuno potrà dimenticare l’energia trasfusa da Giovanni Paolo II per evitare le Guerre del Golfo, cui dovette amaramente piegarsi, e quella messa in campo oggi da papa Francesco per l’Ucraina. Qui l’aggressione ha prodotto molte vittime militari e civili e una distruzione sistematica di città (si pensi a Mariupol), territori e infrastrutture. L’invasione russa sta assomigliando sempre di più alle campagne militari condotte precedentemente a Grozny (Cecenia) e ad Aleppo (Siria). Ad Aleppo nel 2016 Putin e Assad decisero di bombardare la parte della città sotto il controllo dei ribelli con una violenza che ha pochi precedenti.
Il colpo preventivo non edifica alcun nuovo ordine mondiale accettabile, ma rischia di distruggerlo ulteriormente
In Ucraina la soluzione non può che essere politica e non militare. L’attuale inferiorità strategica (navale e aerea) dell’Ucraina potrebbe essere colmata da nuove armi occidentali per rendere in qualche modo confrontabili le forze in campo, e assicurandole una legittima difesa (non nucleare); l’Ucraina ha rinunciato nel 1994 alle armi nucleari di cui era zeppa dopo il crollo dell’Urss. Anche la Merkel, a cui da varie parti si è guardato come mediatrice, ha sposato l’idea di sostenere l’Ucraina contro i "nuovi barbari". La strada sarebbe quella di un cessate il fuoco immediato per iniziare una trattativa e poi addivenire a una conferenza di pace e sicurezza europea, qualcosa di analogo a Helsinki 1975, con garanzie per gli attori in campo, naturalmente a partire da Kiev e Mosca. Ma quanto sangue dovrà ancora essere versato per giungere a un esito oggi improbabile ma necessario?
Il colpo preventivo che instaura un potere di guerra insindacabile e imprevedibile, non edifica alcun nuovo ordine mondiale accettabile, ma rischia di distruggerlo ulteriormente.