mercoledì 23 febbraio 2022
Il richiamo al passato del presidente ha però condannato Lenin, come artefice negativo di fratture nell’Urss
Una vasta gamma di riferimenti fattuali e di dichiarazioni solenni è stata utilizzata lunedì notte per suggerire che l’Ucraina come nazione unitaria e Stato indipendente non è mai esistita

Una vasta gamma di riferimenti fattuali e di dichiarazioni solenni è stata utilizzata lunedì notte per suggerire che l’Ucraina come nazione unitaria e Stato indipendente non è mai esistita - Ansa

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Vladimir Putin ha firmato il riconoscimento delle Repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk, nel Dombass, al termine di un lunghissimo discorso alla nazione che ha sorpreso e preoccupato ancor più dello stesso riconoscimento e, forse, persino più dell’invio di forze militari «su loro richiesta» e «a scopi di peacekeeping». Una vasta gamma di riferimenti storici e di dichiarazioni solenni è stata infatti utilizzata per suggerire che l’Ucraina come nazione unitaria e Stato indipendente non è mai veramente esistita. I suoi legami con la Russia sono antichissimi e inscindibili e se gli ucraini li dimenticano è perché sono caduti sotto un’influenza dell’Occidente che contraddice la loro storia. Basta ricordare il Regno di Rus’ del VIII-X secolo con capitale Kiev e il battesimo del suo re Vladimiro nel 998 che segnò l’inizio della lunga storia dell’ortodossia russa.

Il ricorso al registro storico può apparire sorprendente, ma non si tratta di una novità: il presidente russo ama ricorrevi frequentemente. Nella Russia di oggi, la storia è una delle principali modalità con cui viene articolato il discorso politico. È una storia fondata su fatti, alcuni molto antichi, tratti da contesti diversi e assemblati in una narrazione che ha evidenti scopi strumentali e fini politici. Ma questa volta c’è stato qualcosa di nuovo e piuttosto sorprendente: la critica serrata a Lenin quale principale artefice dell’architettura etnico-nazionale su cui si è fondata la Federazione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Furono Lenin e i suoi collaboratori, infatti, a definire i confini fondamentali dell’Ucraina così come essa è oggi.

Nel mirino del presidente russo sono finiti anche altri leader sovietici, accusati di aver integrato nell’Ucraina territori che le erano estranei, dal bacino del Donbass alla Bucovina e Transcarpazia, fino alla Crimea, ceduta nel 1954 nell’ambito dei 300 anni dall’intesa fra cosacchi e russi in chiave anti-polacca. Putin ha attribuito a Lenin una colpa ancora più grave: quella di aver posto allora le fondamenta di quel diritto di secessione su cui si è basata la disgregazione dell’Unione Sovietica nei primi anni ’90 del secolo scorso. Nel 1991, infatti, l’indipendenza dell’Ucraina – e di altri Paesi dell’Urss – fu rivendicata e pacificamente realizzata sulla base della Costituzione del 1924, varata proprio da Lenin.


Il progetto è quello dell’unità di popoli diversi dentro una grande tradizione culturale. Nel suo discorso, il leader ha citato tre volte l’ortodossia quale elemento cardine dell’identità russa

Può stupire tanta severità verso una figura così importante come Lenin – ma anche Stalin è uscito male dal discorso di Putin, che lo ha definito 'dittatore'. Siamo infatti abituati a pensare che ci siano molti legami tra l’eredità dell’Urss e l’attuale presidente russo, che tra l’altro ha fatto parte dei servizi segreti sovietici. Se Putin ha criticato duramente Lenin e Stalin, non può essere un caso e rivela una scelta consapevole: la volontà di prendere le distanze dal fallimento dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. È infatti ben viva in lui l’amaro ricordo della fine di quella grande costruzione politico-ideologica e, soprattutto, degli anni successivi, così difficili per la Russia, ferita da un’enorme perdita del suo prestigio internazionale e da una pesante 'de-considerazione' degli altri Paesi. Agli occhi degli occidentali, infatti, la Russia degli anni ’90 era semplicemente l’erede di un grande fallimento, insomma un Paese sconfitto, cui spettava un ruolo assolutamente marginale sullo scenario mondiale. Forse da parte occidentale non si è riflettuto abbastanza sul peso che quegli anni di umiliazioni hanno avuto sul popolo russo, che invece Putin ha ben compreso, di cui si è fatto interprete e che oggi si propone di riscattare facendo acquistare alla Russia un grande peso sul piano internazionale.

Ciò non significa tuttavia che egli si ponga in discontinuità con il passato della sua terra. È vero il contrario e proprio l’insistenza con cui ricorre alla storia ne è la conferma. Ma il filo conduttore a cui Putin si richiama è piuttosto un filo conduttore 'imperiale' che lo collega anzitutto all’impero russo e in particolare ai suoi grandi momenti, come la stagione di Caterina II artefice nel XVIII secolo dell’annessione di gran parte dell’attuale Ucraina alla Russia. Anche la storia dell’Urss rientra in gran parte in questa continuità 'imperiale', non però per quanto riguarda la politica etnico- nazionale di Lenin e di Stalin, ma altri aspetti che hanno favorito una grande opera di russificazione di una Federazione di Stati assai lontani da Mosca per collocazione geografica, storia, cultura. Perché impero vuol dire anche questo e cioè unità di popoli diversi dentro una grande tradizione culturale. Nel suo discorso alla nazione russa, Putin ha citato tre volte l’ortodossia quale elemento cardine dell’identità russa, non tanto per motivi di interesse politico immediato – la Chiesa ortodossa russa non è in grado di attirargli grandi consensi – quanto perché l’ortodossia è indubbiamente un ingrediente fondamentale dell’'anima russa' e della sua proiezione imperiale.


Le mire su Kiev sono giustificate dal fatto che il vecchio 'granaio della Russia' deve anche tenere lontani in ogni modo i nemici. Questo suggerisce anche un piano per il cambio di governo

Il grande 'investimento' ideale con cui ha voluto accompagnare l’atto, in sé modesto, del riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e di Lugansk, mostra che Putin guarda lontano e che difficilmente si fermerà a tale riconoscimento. Tra le possibilità immediate c’è l’annessione dei due 'Stati' appena riconosciuti. Ma ovviamente la posta in gioco principale riguarda la sovranità dell’Ucraina. Anche su questo punto il taglio imperiale del suo discorso offre elementi di riflessione: ogni impero ha un centro e molte periferie, la cui funzione è anche quella di proteggere il centro. Non solo è per lui inammissibile che l’Ucraina entri nella Nato – come un po’ incautamente i Paesi membri dell’Alleanza atlantica hanno auspicato qualche anno fa, anche se oggi lo escludono –, ma il vecchio 'granaio della Russia' deve anche tenere lontani in ogni modo i nemici della Russia. Il palese disprezzo per la pretesa ucraina di rappresentare un’identità nazional-statuale autonoma – Putin lo aveva già manifestato anni fa parlando con l’allora presidente americano George Bush – fa pensare che qualcosa deve ancora succedere, quantomeno l’affermazione di una guida filo- russa alla tesa del governo di Kiev.

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Il discorso 'storico' di Putin mostra la complessità di una visione di cui spesso non abbiamo una percezione sufficiente. Nella maggior parte delle decisioni prese dai Paesi occidentali, la storia conta piuttosto poco rispetto a motivazioni politiche, economiche, strategiche immediate. Ma per i russi conta ed è bene tenerne conto.

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