mercoledì 9 gennaio 2013
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Ha fatto il giro della rete una foto postata nei giorni scorsi su Face­book: un feto che stringe il dito del me­dico che lo sta facendo nascere col par­to cesareo. Si tratta, scrivono, della pic­cola Nevaeh di Glendale, Arizona; e colpisce il numero di siti di quotidiani che riportava la foto (pubblicata an­che da Avvenire venerdì 4 gennaio nel­la pagina degli editoriali), nonostante sia "politicamente scorretta": che an­titesi con la vulgata che vorrebbe la vi­ta fetale una vita non di persona uma­na! Ci ricorda altre foto di feti-bambi­ni attaccati alla vita e simbolicamente alla mano del chirurgo che li sta ope­rando ancora nel pancione. Già ricor­diamo lo stupore per le immagini tra­smesse durante una puntata della se­rie Tv «House Md», in cui il dottor Hou­se, cinico e ateo, resta a bocca aperta di fronte alla manina del feto che lo sfiora uscendo dall’utero materno, mentre lui sta decidendo se farlo vive­re. Cosa anima tanto stupore se non la rimozione per un breve momento del­la censura che non vuole che si parli di vita del feto, e che si mostri al grande pubblico?  Censura che crolla in campo scientifi­co: la vita fetale è ormai sempre più og­getto di studi. Per i ricercatori dell’U­niversità di Washington (Acta Paedia­trica 2012) il nascituro inizia ad ap­prendere le parole sin da quando cre­sce nel ventre materno, durante i me­si di gestazione. Non è una cosa nuo­va, simili studi già erano stati fatti, ma colpisce l’eco mediatica che trovano, per la bellezza che esprimono e per il paradosso di affermarla in un mondo culturale che è pronto a negarla quan­do non gli convenga più. E la presti­giosa rivista Nature nel giugno 2012 pubblicava un dettagliato articolo sul­lo sviluppo dei gusti per gli alimenti già nella vita fetale, a seconda di quel­lo che la mamma mangia e che viene filtrato nel sangue fino ad arrivare alle labbra del feto. Anche un recente nu­mero del Journal of Developmental and Behavioral Pediatrics spiega come il fe­to reagisca differentemente alla voce materna a seconda del suo stato di sa­lute; e come non ricordare Sento dun­que sono (Cantagalli 2012), libro in cui vengono raccolti gli scritti dei maggiori studiosi mondiali di sensibilità tattile, gustativa, dolorosa, olfattiva, che si e­sprimono su una semplice domanda: cosa prova un feto prima di nascere? Si tratta di non censurare: già prima di nascere il nostro cervello è ben in a­zione e pronto ad apprendere e sor­prendere. Perché immagazzina nozio­ni e informazioni che gli serviranno per crescere armonico (gli stimoli for­giano il cervello fetale) e anche per co­noscere quello che lo aspetta fuori del­l’utero materno, perché il latte, le vo­ci, le carezze non lo colgano imprepa­rato. Una sensibilità prenatale che ov­viamente impone rispetto, che non viola nessun presunto 'diritto all’au­todeterminazione', ma semplice­mente afferma una verità: la vita inizia prima di vederla all’aria aperta, e sic­come la scienza è anche l’arte di mo­strare tramite dimostrazioni e prove quello che gli occhi non vedono, la scienza aiuta a capire che la vita è vita anche quando non si vede: nessuno è autorizzato a considerarla non-vita so­lo perché nascosta o estremamente piccola. Quello che ci colpisce della foto della manina che esce dall’utero è però l’am­bivalenza nell’accogliere queste sem­plici verità: si riconosce che il feto è vi­ta umana dai dati scientifici, ma si è pronti a negarlo. Si negherà quando si tratta di trarre le conseguenze etiche, nonostante le decisioni contrarie alla vita cozzino con l’evidenza scientifica; si negherà con una triste forma di cen­sura applicata proprio da chi invece si fa a parole paladino delle libertà indi­viduali. Ma come tutte le censure, è de­stinata a breve vita.
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