Un evento di importanza capitale, che negli anni e nei secoli che verranno prenderà il suo posto nella storia», così il patriarca ecumenico Bartolomeo ha definito il Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa, conclusosi domenica a Creta. Sì, perché solo gli anni a venire daranno la misura esatta della prima sinassi nella storia delle Chiese ortodosse autocefale. Come ogni Concilio, anche quello ortodosso aveva incontrato enormi difficoltà prima ancora di aprirsi: non solo perché improvvisamente cinquant’anni di preparativi erano apparsi insufficienti, e quattro delle Chiese che pure a gennaio avevano approvato i documenti preparatori e assentito alla convocazione avevano poi rinunciato a prendervi parte per diverse ragioni, ma anche perché è insito nella natura umana esitare proprio nel momento in cui bisogna compiere un passo irreversibile. Così, molti pensavano che il massimo risultato raggiungibile sarebbe stato la semplice celebrazione della sinassi, indipendentemente dai documenti in discussione. Eppure, fin dai primissimi secoli della storia della Chiesa, mai un Concilio è stato fatto per ratificare decisioni già prese o per constatare un’unità già raggiunta: i Concili sono sempre stati necessari per affrontare insieme i problemi e riprendere con maggior slancio il cammino comune. Così è stato a Creta: non solo il Concilio è stato celebrato, ma è divenuto un evento di comunione, grazie allo Spirito che, quando invocato nella preghiera comune, non manca di offrire i suoi doni ai cristiani radunati nel nome del Signore.Nonostante le asperità è quindi prevalsa in modo chiaro la volontà di ricercare e perseguire l’unità fino a trovarla. È stato sempre il patriarca Bartolomeo, nel discorso finale, a riconoscerlo con molta franchezza di fronte a tutti: «Ci sono state difficoltà; non tutto è stato facile e roseo; ci sono state asprezze, tensioni, malcontento, pessimismo sul risultato, ma alla fine c’è stato consenso, unità di sentire, accordo, unanimità. Tutti insieme abbiamo scritto la storia!». Il Concilio ha così potuto discutere e approvare all’unanimità, con una reale partecipazione di tutti i vescovi presenti, i documenti sui sei temi all’ordine del giorno e una lunga Enciclica, che aggiunge a una sintesi del loro contenuto una parola evangelica di speranza rivolta al mondo per le difficili situazioni che l’umanità sta vivendo. Da questa Enciclica è stato poi tratto un messaggio sintetico rivolto al popolo ortodosso e a ogni uomo di buona volontà, letto solennemente domenica durante la liturgia eucaristica conclusiva. I padri conciliari vi sottolineano che «la priorità del Santo e Grande Concilio è stata di proclamare l’unità della Chiesa Ortodossa»: non una confederazione di Chiese autonome, ma un’unica Chiesa. Il Concilio è stata un’occasione per riscoprire questa verità, e vuole essere «il primo passo» di un cammino conciliare che non deve terminare qui: i padri hanno infatti deciso che analoghi concili saranno convocati da ora in poi a scadenze regolari «ogni sette o dieci anni». La conciliarità è infatti la dimensione propria della vita della Chiesa e per questo deve tornare a diventare la sua regola e non restare un evento eccezionale. Se, come ha affermato il Concilio, «la Chiesa non esiste per se stessa», ma per il mondo, allora l’evangelizzazione fino agli estremi confini della terra fa parte della sua ragion d’essere. Ma anche in questo lo stile del cristiano esige un profondo rispetto della dignità di tutti: il dialogo resta la via maestra anche nella ricerca del ristabilimento dell’unità tra i cristiani e nella conoscenza reciproca tra i credenti delle varie religioni. È il dialogo che «contribuisce in modo significativo nel favorire la fiducia reciproca, la pace e la riconciliazione ». Insomma, il Concilio della Chiesa ortodossa ha rivolto uno sguardo ampio e pieno di misericordia sul mondo, cosciente che essa non può mai restare chiusa su di sé, ma deve sempre camminare accanto agli uomini e alle donne di ogni tempo. In questo senso va anche la sintonia e la vicinanza manifestata ai patriarchi e vescovi ortodossi da parte di papa Francesco: non solo attraverso la presenza come osservatori del cardinal Koch e del vescovo Brian Farrell, ma con il costante ricordo nella preghiera, il rendimento di grazie al Signore per questo evento dello Spirito e l’auspicio di futuri passi di ancor più ampia comunione. Il Concilio si è rivelato un grande invito rivolto alla Chiesa intera e a ogni essere umano a compiere un esodo da quella che l’arcivescovo Anastasio di Albania all’inizio dei lavori ha definito «la più grande eresia, la madre delle eresie: l’egocentrismo, personale, collettivo, etnico, nazionale ed ecclesiale». Distogliere lo sguardo da sé e rivolgerlo al Signore della Chiesa e dell’universo è il passo decisivo per riscoprirsi fratelli e sorelle in umanità.