Caro direttore,
le chiedo ospitalità per rispondere a quanto scritto dall’amico Mario Marazziti il 12 marzo scorso circa una presunta «radicale contraddizione» relativa alle attività per la messa al bando mondiale del pentobarbital per preparare all’iniezione letale i condannati a morte negli Usa. A Mario, oltre all’amicizia personale, mi lega anche la comune militanza abolizionista che per anni, come dirigente di 'Nessuno Tocchi Caino' e del Partito Radicale, mi ha fatto girare l’Africa per promuovere una moratoria universale delle esecuzioni capitali per arrivare a una totale e definitiva abolizione della pena di morte. La campagna voleva, vuole, non solo garantire che i giustiziati non soffrano sulla sedia elettrica, ma vuole togliere allo Stato il potere di imporre la morte anche per i peggiori crimini contro l’umanità. Per quanto l’associazione radicale abolizionista tragga dalla Bibbia il suo nome, si tratta di una campagna per l’affermazione dei diritti umani storicamente acquisiti con lotte politiche e per il rispetto degli obblighi internazionali degli Stati membri dell’Onu derivanti dalla ratifica del Patto internazionale per i diritti civili e politici. Mi meraviglia, quindi, leggere l’imputazione di contraddizioni a chi, come i Radicali, da sempre promuove e protegge la libertà di scelta individuale in merito alla vita che, con le parole di Pier Giorgio Welby «non più degna d’essere vissuta, chiama una morte opportuna». Questo è quello che la civilissima Svizzera concede agli italiani che non possono veder le proprie volontà rispettate dalla loro giurisdizione nazionale, questo è quello che Marco Cappato fa nella speranza che dal corpo dei malati si possa arrivare al cuore della politica italiana per regolamentare una scelta individuale. Non si vuole infliggere la morte a un criminale né, tantomeno, si vogliono infliggere atroci sofferenze a chi ha deciso di concludere la propria esperienza umana. Il problema non è l’uso di una stessa sostanza – tra l’altro né Cappato né l’Associazione Luca Coscioni «incoraggiano l’acquisto online» di Nembutal – il problema è negare l’autodeterminazione individuale. Anzi… Se invece si insinua che il pentobarbital, o i suoi eredi, non sedino profondamente, occorrerebbero studi farmacologici e non basarsi su testimonianze oculari di presunte smorfie. Mi sembrava d’aver capito che non si dovesse legiferare sulla base di clamori, ma nell’interesse generale acquisiti pareri ed evidenze scientifiche.
Marco Perduca
Membro di Giunta dell’Associazione Luca Coscioni e Coordinatore della campagna 'Legalizziamo!'
Ho letto con interesse, gentile dottor Perduca, la sua replica alla documentata e incalzante riflessione (https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/suicidio-assistito-e-pena-di-morte-la-contraddizione-del-pentobarbital) di Mario Marazziti, già vicepresidente della Coalizione mondiale contro la pena di morte e oggi parlamentare, che avevamo ospitato il 12 marzo scorso. Può forse immaginare quanto poco mi appassionino sottigliezze (pur non irrilevanti…) sulla qualità della morte alla quale il pentobarbital conduce, e sa invece quanto mi interessino norme e progetti normativi che consentono di porre termine a un’esistenza umana attraverso la cosiddetta eutanasia, termine sotto al quale si ricomprendono molti e definitivi gesti tragici: dal suicidio assistito all’omicidio del consenziente (o presunto tale). Abbiamo scritto e documentato molto a questo proposito, e anche io personalmente l’ho fatto. Qui perciò mi limiterò a due considerazioni, non nuove eppure, a mio parere, mai abbastanza ripetute. La prima annotazione riguarda le regole attraverso le quali la «civilissima Svizzera» permette le cliniche della morte a comando e a pagamento. Non voglio giudicare il grado di civiltà di nessun Paese, ma in Svizzera l’eutanasia, la morte procurata, è ancora e sempre illegale. Eppure si fa. Il sistema che consente di 'far suicidare' chi lo vuole (e ha i soldi necessari) si basa sul fatto che le strutture dove questo accade sono ufficialmente Onlus, cioè enti senza fini di lucro, che perciò ricevono quattrini (tanti), ma mai in forma di corrispettivo per il 'servizio' svolto. Perché la legge svizzera, come abbiamo spiegato più volte e da ultimo grazie alla brillante sintesi del giurista Giuseppe Anzani (https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-morte-spacciata) permette di assistere un aspirante suicida, purché non sia per «fini egoistici». Se una legge simile ci fosse in Italia, si parlerebbe non di altissima civiltà, ma di sotterfugio da azzeccagarbugli cinici e affaristi… La seconda considerazione è riferita alla sua volontà, dottor Perduca, di continuare nella battaglia civile per «togliere allo Stato il potere di imporre la morte». Come sa la condividiamo in molti, e sempre di più. Solo, non se ne abbia a male, che in questa battaglia per la vita e la giustizia, quelli che la pensano come Mario Marazziti e come me sono ben più radicali di lei: perché tutti noi, credenti e non credenti, non riconosciamo allo Stato alcun potere non solo di imporre (o far imporre), ma anche di dare (o far dare) la morte mettendo la maschera vera o posticcia della pietà e dell’«autodeterminazione» dell’individuo a questo inammissibile e in sé crudele esercizio. Lo Stato non può e non deve essere 'padrone' cioè, in tutto e per tutto, occhiuto regolatore - della vita e della morte dei cittadini (ci sono cose, speranze e disperanze, nelle nostre esistente nelle quali nessuna pubblica potestà deve metter naso, bocca e mano). Lo Stato - o, se preferisce, la comunità civile organizzata deve essere, invece, custode e garante della vita personale e associata nonché dei liberi e intangibili spazi di coscienza di ogni cittadino, che per questo è tale e non suddito. La vita è il bene che ci è dato in dote e in pegno, ed è affidata alla nostra libertà che non è solo autodeterminazione, ma è anche (e in modo decisivo) relazione. E con tutto il rispetto per Giorgio Welby, e la sua drammatica lotta col male, continuo a imparare che l’unica morte «opportuna» è quella che non sciupa neanche una stilla di umanità.