Guerra, morte, violenza, odio, distruzione, vendette, ritorsioni. Dopo trecento giorni queste parole possono diventare vuote e silenziose perché le ripetiamo quotidianamente e a queste parole l’umanità si sta facilmente abituando, quasi si sta assuefacendo. Le guerre che stringono la Terra Santa da nord a sud non si fermano, anzi aumentano in ferocia e disumanità. Terrore e diffidenza si sono impadroniti di chi è riuscito a sopravvivere in questa parte importante della Terra Santa.
Dalla Galilea a Gaza, da Gerusalemme alla Cisgiordania tutti soffrono senza distinzione di nazionalità, razza, colore della pelle, credo religioso. È triste vedere andare via tantissime famiglie cristiane da Betlemme e da Gerusalemme: sono preoccupati per il presente e per il futuro dei propri figli. Al dispiacere per queste partenze, si aggiunge l’angoscia di vedere i Luoghi Santi senza i fedeli locali. Le celebrazioni sono ricche di significato e di tradizione in Terra Santa e sarà molto triste affrontare la mancanza dei cristiani locali in tante liturgie e in tanti momenti di vita delle nostre comunità.
In ogni angolo del mondo si sta parlando di guerra, di continui cambi di scenari, delle possibili soluzioni ai conflitti, di chi è vittima e di chi è carnefice, di chi deve partecipare ad una possibile mediazione, di come uscire da questa tragedia senza intaccare interessi e supremazie. Far apparire inevitabili, addirittura normali e quindi giuste, tutte le violenze che colpiscono la vita e la sua dignità è uno degli effetti più gravi provocati dalla guerra. La morte dei bambini, degli indifesi, di chi non ha colpa rappresenta il disprezzo più totale verso la dignità e il rispetto della vita. È stato fatto il possibile e l’impossibile per bloccare il traffico mortale di armi e di altri strumenti di morte?
Quegli stessi percorsi che vedono passare le armi, dovrebbero veder passare invece cibo, medicine, energia, uno spiraglio di vita degna di essere definita umana. Abbiamo usato ogni mezzo per seminare pace e unità e per estirpare l’erba cattiva dell’odio e della divisione? Parole come diritti e libertà sono solo suoni vaghi e lontani rispetto alle esigenze vitali di questa povera gente. Il diritto alla vita è stato sconfitto dalla presunta libertà di poter distruggere la vita?
Le guerre devono essere costantemente ricordate per sconfiggerle e per cancellare l’indifferenza di chi finge di non vedere a cosa sta portando questa assurdità. Sono giorni in cui chi vive in Terra Santa sente forte l’impotenza di non poter fare nulla per chi abita questa terra nello sconforto e nella paura. La stessa impotenza che si prova e si sente quando non si vede un vero cambiamento e non si percepisce la volontà di fermare un percorso violento. L’emergenza è sopravvivere alla guerra, l’emergenza è la carestia, la fame e la sete che uccidono anche perché si mangia cibo scaduto o inquinato, perché si beve acqua infetta e contaminata. La natura è devastata, aria e acqua sono inquinate dalla guerra e da centinaia di migliaia di tonnellate di macerie, detriti e rifiuti accatastati da mesi a diffondere malattie a chi non può affrontarle con la possibilità di guarire.
Le morti sono certe quando non si fanno entrare farmaci salvavita e quando si distrugge quello che rimane degli ospedali. L’ennesimo disprezzo della vita è spingere esseri umani, persone con una storia e una dignità, a fuggire dalle macerie delle proprie case, stipandoli in luoghi falsamente sicuri dove si incontra invece una morte programmata e pianificata. A volte sono immagini o video a colpirmi, spesso sono racconti di esperienze dirette ma ogni volta mi chiedo cosa prova o sente chi procura il male ad un suo simile, e se ognuno di noi, dal più umile al più potente, ha fatto il possibile per evitare tanto male.
Non riesco a dimenticare gli occhi di chi vede negati i diritti essenziali e subisce ogni genere di violenza e di limitazioni. Occhi sbarrati e sconvolti di chi da mesi ha davanti solo dolore e tristezza, morte e distruzione. Sono occhi che parlano e che denunciano il silenzio e l’indifferenza, sono occhi che hanno visto e vedono solo il male, sono occhi che guardano verso le coscienze di chi non ferma il male. Le richieste di aiuto sono tante, non sempre trovano risposta per l’impossibilità di poter essere presenti e vicini anche solo per stringere una mano, per ascoltare e per abbracciare, per dare calore e umana solidarietà.
Difficile farlo a Gaza, difficile anche in Cisgiordania, dove ci sono altre emergenze, dove si sono alternati periodi di rinascita e di speranza a periodi bui di tensioni, di conflitti e ora di totale insicurezza per la guerra che avanza e per la povertà sempre più presente ed evidente. Betlemme in particolare è sempre più triste. Sento lo sconforto delle persone, vedo la disperazione di padri e di madri che non sanno come sfamare i propri figli.
Ricevo innumerevoli richieste da uomini e donne che implorano di poter lavorare e di poter sostenere le famiglie che affrontano disagi e bisogni urgenti causati dalla guerra e dalla conseguente mancanza di pellegrini nei Luoghi Santi. Persone che chiedono almeno il permesso di poter attraversare il checkpoint che porta in Israele e quindi ad una possibilità di trovare lavoro e dignità. È lo stesso muro che attraversavano prima del 7 ottobre, la stessa data che ha allontanato la speranza della pace, la stessa data che ha fatto ritornare l’incertezza e la sfiducia.
Non facciamo diventare anche questo scenario di guerra come una irrimediabile tragedia locale, limitata a questa area geografica dove però è concentrato il futuro della pace nel mondo. Non stanchiamoci di denunciare le ingiustizie subite dagli innocenti, dai deboli e dagli indifesi. Non chiudiamo gli occhi, la mente e il cuore davanti agli occhi pieni di dolore, alle menti oltraggiate da violenze disumane, ai cuori spezzati dalla disperazione.
Frate minore in Terra Santa