Ho sempre fatto il presepe da che mi ricordo. Forse quello in cui ho sistemato la prima statuina, con una certa apprensione del mio papà che temeva facessi cadere tutte le altre, avevo 3 anni.
Fin da subito mi ha incuriosito quel vecchino che metteva le mani sulla fronte che guardava in alto, lontano. Ma perché? Che cosa cercava? Mentre tutti gli altri avevano una meta, lui si attardava a guardare smarrito e preoccupato.
Da bimbo chiedevo al mio papà e alla mia mamma se aveva problemi di vista: avevo sentito in casa che una delle nonne soffriva di cataratta e allora forse quella statuina bisognava anch’essa portarla dal dottore per operarla e poi metterle una garza tonda sull’occhio.
Una signora teneva in mano una tunichetta da portare al bambinello appena nato, il contadino una ciotola con del formaggio, il pastore con l’agnellino sulle spalle: tutti andavano sicuri e festanti verso quella grotta con il lumicino in alto a rischiarare gli animali, la mamma e il papà del bambinello.
Eppure lui, il signore che guardava, se ne stava là sulla montagna, quella fatta con la scatola delle scarpe ricoperta dalla carta marrone stropicciata, a scrutare il cielo. Il mio papà la girava dalla parte opposta alla grotta, quasi a scusarlo, a metterlo in una posizione che scusasse il suo atteggiamento. Io lo giravo verso la grotta e pensavo: "Dai guarda di là, possibile che non vedi?".
Anche adesso, dopo quasi 60 presepi, quella statuina, ereditata, continua a incuriosirmi e a preoccuparmi. Perché fa così fatica a vedere? Possibile che non abbia ancora imparata la strada dopo aver recitato su innumerevoli superfici, prima sul tavolino dei liquori quello con le ruote, poi sul mobile della sala, sul tavolo a fratino, ora sopra il camino? Alla fine mi sono affezionato a quella strana statuina.
Gli voglio bene perché a volte sento lo stesso smarrimento, la stessa miopia, lo stesso astigmatismo.