Il concetto di solidarietà assume un significato particolare nel momento storico che stiamo vivendo. La crisi economico-finanziaria degli ultimi anni ha infatti ampliato le diseguaglianze sociali perché ha colpito soprattutto le fasce più deboli della popolazione: le diseguaglianze di reddito sono aumentate più tra il 2007 e il 2010 che nei dodici anni precedenti. Questa considerazione rende quanto mai attuale la riflessione contenuta nell’enciclica
Caritas in veritate circa la necessità di uno sviluppo «vero e integrale» per evitare le «conseguenze negative derivanti da una crescita contrassegnata da distorsioni e squilibri». L’aumento delle diseguaglianze rappresenta oramai una tendenza costante negli ultimi 30 anni; ciò significa che non è un fenomeno contingente, bensì un fenomeno strutturale, endemico nel modello di sviluppo oggi prevalente, ispirato alla mera logica del profitto e che misura il grado di benessere della società con il reddito medio e con il Pil, senza tener conto dei «danni collaterali della disuguaglianza sociale».In questo contesto, la stessa gratuità – per quanto rappresenti la manifestazione più spontanea e genuina del concetto di solidarietà – non può certo risolvere il problema della povertà o delle diseguaglianze sociali. Affinché la nostra società sia concretamente solidale è necessario fare un salto di qualità, sviluppando, oltre la coscienza individuale, un modello di comportamento collettivo che affronti il problema alla radice, cercando di eliminare le cause che sono all’origine di questi squilibri. In altri termini, non possiamo intervenire per lenire la sofferenza generata dalle diseguaglianze una volta che si sono manifestate, ma dobbiamo fare in modo che queste non oltrepassino la misura oltre la quale assumono il carattere di iniquità.Questo obiettivo presuppone un profondo ripensamento del modello di sviluppo economico sino ad oggi prevalente, con l’obiettivo di individuarne uno che possa essere definito realmente «sostenibile» e, dunque, «solidale». Un modello che persegua l’obiettivo della crescita economica tenendo però nella dovuta considerazione anche la dimensione sociale e quella ambientale. La realizzazione di un modello di sviluppo di questo tipo rappresenta una sfida epocale, ma ineludibile, alla quale dovranno partecipare tutte le componenti della nostra società: le istituzioni civili e religiose, il sistema delle imprese e i cittadini, sotto la guida e l’azione propulsiva di una classe politica che deve saper tradurre questa istanza di cambiamento in una visione di lungo periodo che vada ben oltre la prossima scadenza elettorale; una visione in cui l’interesse generale prevalga sugli interessi particolari. Perciò, in qualità di esponenti del mondo imprenditoriale dobbiamo innanzitutto essere consapevoli che il sistema delle imprese non può limitarsi a essere il motore della crescita economica, ma deve contribuire a essere anche il propulsore del cambiamento sociale e della coscienza ambientale. E questa consapevolezza deve favorire un profondo cambiamento nella cultura aziendale sviluppando un’autentica responsabilità sociale dell’impresa, che non deve essere uno slogan, uno strumento di comunicazione o, peggio, un paravento per legittimare sul piano sociale comportamenti eticamente non ortodossi. Al contrario deve costituire un elemento centrale della
corporate governance per orientare le strategie aziendali verso l’aumento del livello di competitività e di redditività dell’impresa, prestando però nello stesso tempo attenzione anche al miglioramento delle condizioni economiche e sociali della comunità in cui l’impresa opera. Solo così si può sviluppare un rapporto virtuoso nel quale il successo dell’impresa è anche il benessere della comunità nella sua accezione più ampia, e viceversa.Un modo di interpretare la strategia aziendale, vorrei precisare, che non nasce esclusivamente da un’ispirazione "umanitaria" o assistenziale; per un azienda elettrica come Enel, infatti, introdurre l’elettricità in aree in via di sviluppo per contribuire a combattere quella che viene oramai classificata come «povertà energetica», significa anche avviare una crescita sociale e industriale che ci consente di aprire nuovi mercati e di cogliere opportunità di business. È un esempio concreto di come l’adozione di strategie aziendali ispirate a valori di solidarietà e sostenibilità possano generare nel lungo termine valore anche per l’azienda e per i suoi azionisti.