La spada di Damocle (stare attenti a tutto)
mercoledì 28 ottobre 2020

Qualcuno ha scritto: «Viviamo dentro un incubo», l’incubo del Covid, ma se vogliamo usare una metafora è meglio quella della spada di Damocle. Viviamo tutti sotto la spada di Damocle, appesa sopra di noi a un filo sottile, che potrebbe rompersi da un momento all’altro, con la conseguenza che la lama cade e ci taglia la testa. Ogni sera aspettiamo dalla tv la conta dei contagiati e dei morti di quel giorno, ogni sera li vediamo crescere, e ogni sera ci domandiamo: 'Perché proprio loro? Può toccare a me? Perché no?' Non c’è nessuna colpa nell’essere contagiato, non c’è nessun merito nel non essere contagiato. Il virus è dove non sappiamo.

C’è chi lo ha preso a casa propria, cenando con amici stretti. C’è chi s’è sposato e lo ha preso nel giorno del matrimonio, anche se aveva scartato dagli inviti i parenti e amici di rara frequentazione, e s’era fermato alle due-tre decine di ultrasicuri. Vedo un titolo che dice: «Nel mondo 465mila casi in un giorno», è un dato dell’Oms. Beh, fa paura. Altro titolo: «In Francia possibili 100mila casi al giorno». Come diceva Tonio a Renzo, sul finire della peste a Milano: «A chi la tocca, la tocca ». E che cos’è questa cosa che tocca? Ecco, siamo abbondanti di allarmi e spaventi («Ieri in Italia oltre 21mila nuovi casi e altri 128 morti»), ma siamo scarsi di testimonianze vissute sulla malattia: come arriva? Cosa fa? Come ci si sente? Come si sopravvive?

Qualche guarito ha raccontato che la malattia entra come un’orda di vermi nel corpo, corrono da tutte le parti, fanno male dappertutto, becchettano e mordono. Questo lo ha detto anche Federica Pellegrini. Anche Valentino Rossi. In questa settimana una contagiata della provincia di Alessandria, che si chiama Clotilde, ha dato la sua testimonianza mentre la malattia toccava l’acme, e lei era sotto il casco per la respirazione. Dice cose che non avevamo mai sentite. Eccole: «Questa dannata boccia per pesci che fa un rumore d’inferno», «Non sento più i miei polmoni, mi sembrano pieni d’acqua», «Vorrei strapparmi questo bavaglio, ma se lo strappo muoio, perché da sola non ho la forza per respirare», «Ho solo 37 anni», «State attenti». Noi stiamo attenti, ma Clotilde c’invita a stare più attenti. La «boccia per pesci» mi è nuova. Dunque infilare la testa nel casco della respirazione è come immergerla nell’acqua? e nell’acqua è tutto un fruscìo di bolle e gorgogli? La sensazione più terribile è quella di non riuscire a respirare. Tutti i malati di Covid l’hanno testimoniata. Si ha l’impressione di non riempire i polmoni d’aria, ma di acqua. Dunque: di non respirare. Vien voglia di strapparsi via la macchina per la respirazione, ma il cervello ti dice che se te la strappi muori, perché è quella macchina che respira per te. Questa malata, come gli altri che abbiamo sentito o letto o visto (perché c’è qualche raro spezzoncino di tv), patisce una condizione schizofrenica, l’istinto le dice che con quella macchina annega, il cervello le dice che senza quella macchina soffoca.

Questa malattia fa sragionare. Porta fuori dal mondo, in un altro mondo, irrazionale illogico nebbioso, in cui il malato si perde e non capisce niente. Abbiamo visto un vecchio spinto via sul letto a rotelline che continuava a invocare la moglie. La moglie, cioè il mondo di prima. Ma non c’è più un rapporto con prima. La spada di Damocle è caduta e l’ha tagliato. Sì, Clotilde, dobbiamo stare attenti. Non sappiamo a che cosa. Dunque, a tutto.

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