Per un euro, Carlo ti fa entrare nella casa in cui è nato. Una spelonca. Letteralmente, visto che è scavata nel tufo. Niente acqua corrente, l’elettricità arriva da un filo volante. La porta che divideva lo spazio dell’uomo da quello delle pecore è uno stipite che occlude la parte più oscura della grotta. Carlo vi ha raccolto tutti i ferrivecchi della zona e li vende ai turisti, incantandoli con i suoi racconti del bel tempo che fu, di quando si viveva veramente il vicinato, l’acqua potabile cadeva dal cielo ed era custodita in una cisterna comune, ogni bambino era di tutti e si figliava perché servivano braccia per lavorare la terra. Carlo vende la memoria dei Sassi di Matera, e passi se le conchiglie fossili sono tufo lavorato dallo scalpellino.
Mancano pochi mesi al 2019, la deadline del futuro, ma ai cantieri di “Matera capitale europea della cultura” servirebbero tutti i millenni che trasudano dalla città primitiva. Patrimonio dell’Umanità per l’Unesco, siamo nella nostra Gerico: è abitata dal Paleolitico, quando l’uomo imparò a scavare il tufo per proteggersi. Tane asfittiche per uomini e bestie, che sono diventate masserie, che sono diventate chiese rupestri, che sono diventate dimore patrizie... Primitive architetture ipogee e facciate di pregio, edificate con la stessa pietra calcarea estratta dalle gravine.
Quando Alcide De Gasperi, negli anni Cinquanta, arrivò a Matera, Sasso Caveoso e Sasso Barisano erano già una “vergogna nazionale”: spelonche che davano riparo a 15mila persone, sopravvissute in condizioni di degrado. Rimaste come le aveva raccontate, nel ’45, Carlo Levi, paragonando i Sassi all’Inferno di Dante: «Dentro quei buchi neri dalle pareti di terra vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento erano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Di bambini ce n’era un’infinità, nudi o coperti di stracci». Avevano «gli occhi semichiusi e le palpebre rosse» per il tracoma.
Nel 1952, fu approvata la legge che li trasferiva in nuovi quartieri popolari, costruiti senza badare a spese e firmati da Quaroni, Aymonino e Piccinato, archistar dell’epoca. Sessant’anni dopo, i quartieri Serra Venerdì e La Nera, con i loro spazi verdi, i servizi e i caseggiati datati ma non fatiscenti, restano un simbolo della Ricostruzione.
All’ingresso di Spine Bianche, ci saluta la statua di De Gasperi. I materani non lo hanno dimenticato: bastò proporne lo spostamento, nove anni fa, per scatenare una rivolta popolare. I tempi sono talmente cambiati che alle ultime amministrative il Pd è riuscito a dividersi su chi dovesse gestire l’anno della Cultura, che cuba un centinaio di milioni di euro tra finanziamenti pubblici e privati.
Il sindaco uscente, Salvatore Adduce è stato sconfitto dal rassemblement guidato da un uomo di cultura del calibro di Raffaello De Ruggieri, che si è subito spappolato: la prospettiva di non poter gestire un simile evento è bastata a riappacificare i dem; tuttavia, anche dopo la (faticosa) “grande intesa” che ha blindato la Giunta De Ruggieri, rimane chi teme che gli investimenti non porteranno affatto a una qualificazione del turismo – anzi trasformeranno la città “in una grande friggitoria” – e chi invece scommette che Matera diventerà l’atelier d’Europa e dimostrerà al Mezzogiorno che di cultura si può campare e crescere. Un auspicio di tutti e in particolare del primo cittadino che, fin dall’insediamento, aveva sottolineato «la necessità di stabilizzare iniziative che possano diventare strategiche» ed «evitare che Matera possa subire gli effetti di un turismo di massa transumante, che metterebbero in seria difficoltà la tenuta sociale e l’organizzazione dell’accoglienza della città, replicando in parte gli scenari che a Venezia, ad esempio, hanno avuto conseguenze devastanti».
Il Comune sta lavorando per diversificare le attività presenti nel centro storico, facendo leva anche sulla sperimentazione del 5G che dovrebbe favorirvi il decollo di un hub tecnologico, ma la tentazione di trasformare i Sassi, già molto sfruttati dal cinema, nell’ennesimo parco a tema a uso e (soprattutto) consumo del turismo mordi e fuggi resta forte.
Nel volgere di pochi anni, in questo labirinto di viuzze e cortiletti sono sorte decine di hotel di charme e ristoranti, bar e birrerie. Che non sempre valorizzano il territorio: sarà pure il bando europeo a prevedere che la capitale della cultura debba avere un’allure internazionale, ma tra il pub che offre “Spritz + food” e la crapiata servita nella locanda del Pane Cotto, non c’è confronto.
I materani spiegano l’improvvisazione con l’occupazione barese: è un fatto che i vicini di casa abbiano fiutato l’affare per tempo. L’aeroporto di Palese potrebbe essere ribattezzato “Bari-Matera 2019” e comunque la quasi ultimata superstrada a quattro corsie tra i due centri sancirà che Matera è, di fatto, la settima provincia delle Puglie.
Molti temono che gli investimenti “stranieri” portino ad emulare Gallipoli, oggi in pieno sboom turistico. Se la prospettiva è quella, al contrario, di valorizzare e stabilizzare il flusso di turisti che aumenterà con l’anno della cultura, bisognerà ricalibrare alcune scelte, a partire dalla ricostruzione dei Sassi: per qualche decina di materani che hanno riconquistato gli spazi della memoria, ristrutturando l’abitazione avita e andandoci a vivere, e di artigiani locali che vi propongono le loro creazioni intagliate nel tufo e i fischietti in terracotta rivisitati nelle più svariate fogge, sono sorti centinaia di B&B, case vacanza e affittacamere, che non hanno obbligo di registrazione in Camera di Commercio e sfruttano le recenti agevolazioni tributarie.
Tra il 2014 e il 2017, le strutture ricettive extralberghiere sono passate da 157 a 556 e i posti letto triplicati. Nel solo ultimo anno, gli arrivi nel Materano sono saliti da 250mila a 281mila. Una bolla che potrebbe sgonfiarsi tra sedici mesi. O che potrebbe continuare a crescere, alimentata dal turismo low cost, e snaturare la città, facendone la Venezia ipogea del Sud: un formicaio di scorci, pub e take away.
La Fondazione Matera 2019 rema in direzione contraria. Tenta di evitare la “trappola” cui è stata dedicata il mese scorso la copertina del “Time”: dopo aver riempito per decenni le tasche degli operatori e dei Comuni, il turismo mordi e fuggi sta desertificando i centri storici, aizza i cittadini contro i visitatori che sporcano e non spendono e dissangua il valore aggiunto di un’industria che in Europa genera ancora un giro d’affari di 321 miliardi e dà lavoro a 12 milioni di persone.
«Ma non piangiamo il bambino prima che sia morto – esorta Adduce –. Non diventeremo una delle tante capitali della cultura, perché non organizzeremo concerti di rockstar o grandi eventi internazionali, ma useremo le risorse per dare a Matera una nuova identità, quella di un incubatore di cultura; dalla nostra Storia, dai Cammini religiosi, dall’Open Design School, la cultura sarà “prodotta” dal vivo, sotto gli occhi del mondo, e faremo emergere tutta la capacità di Matera di supportare, con la creatività locale e l’esperienza internazionale che stiamo raccogliendo in città, le grandi produzioni culturali europee, attraendo artisti e creativi». Una visione che si sta concretizzando nella scuola di scenografia, nata in vista del 2019 ma che sta già lavorando.
Nella visione di Adduce, il quale ha portato al traguardo una candidatura ideata dall’associazione “Matera 2019”, Gramsci batte Sting: «Una grande festa con le star del palcoscenico passa in una notte, mentre noi stiamo cambiando il destino di un popolo». Quello stesso popolo che ha dimostrato di saper cambiare il modo di abitare e di vivere la città intende insegnare al mondo, con decine di mostre ed eventi, come si conquista l’underground, cosa fu veramente il Rinascimento nel Sud, cosa ci lasciò Pitagora (vissuto, pare, nel Metaponto) ed infine come cambieremo noi e come cambieremo il pianeta nei prossimi mille anni, gettando uno sguardo oltre l’antropocene.
Un grosso contributo al programma dell’anno della cultura – e a ricucire i rapporti con Potenza e gli altri territori lucani – lo darà la Chiesa, attraverso i Cammini. «La rassegna “Tra radici e fede” – spiega il vicario per la pastorale di Matera-Irsina, monsignor Filippo Lombardi – si fonda su una concezione unitaria della cultura, considerata come un processo ininterrotto attraverso cui ci si prende cura dell’umano, lo si “coltiva” per portarlo a maturazione, lo si celebra nel suo legame con la trascendenza e lo si promuove nelle sue potenzialità di relazione, comunicazione, trasmissione della fede, religiosità, patrimonio di valori e capacità artigianali, professionali e imprenditoriali». Come la cooperativa “Oltre l’arte”, figlia del progetto Policoro.
La Chiesa lucana sta lavorando a un cartellone di 78 eventi, dai concerti di musica sacra alle mostre di icone, mentre sullo sfondo prende forma il vero segno del 2019: il primo parco culturale ecclesiastico. Adduce conferma che con la Chiesa c’è la «piena condivisione, molto più della collaborazione istituzionale» e don Filippo sottolinea come, attraverso questo rapporto, «la nostra terra deve superare le sue storiche divisioni, il rapporto clientelare con il potere, anche quella sorta di ripiegamento che è seguito alla crisi della chimica e a quella del mobile».
C’è voglia, insomma, di volare alto, facendo di Matera una capitale del turismo slow, attento alle radici dei popoli e al loro messaggio universale. «Solo allora parlare di intellettuali della Magna Grecia – commenta Adduce ricordando un epiteto riferito a Ciriaco De Mita – non descriverà più un Mezzogiorno improduttivo, ma una terra in grado di offrire idee e sentimenti al mondo». Senza finire nella “trappola” della grande friggitoria.
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