mercoledì 11 luglio 2012
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​«Venerdì notte, malgrado il grande caldo, gli abitanti di Giugliano, grosso centro del Nord Napoletano, hanno dovuto tenere le finestre chiuse, mettendo stracci e asciugamani bagnati. C’era nell’aria un denso e acre fumo nero. Bruciavano rifiuti tossici negli "inceneritori della camorra"». Così scrivevamo il 22 giugno 2007 in un articolo titolato «Campania, di rifiuti si può anche morire». Cinque anni dopo, torniamo a lanciare l’allarme su una situazione pericolosamente endemica per quell’area che la prestigiosa rivista scientifica "The Lancet" definì nel settembre 2004 il «triangolo della morte», denunciando l’altissimo tasso di tumori. E allo stesso anno risale, come scrivevamo allora e ricordiamo oggi nel giornale, uno studio dell’Istituto superiore di sanità «sull’impatto sulla salute umana» della mala gestione dei rifiuti nell’area tra le province di Napoli e Caserta. Il 27 gennaio di quell’anno c’era stato anche un morto, il piccolo rom Samir, appena 19 mesi, avvelenato nel campo dell’area Asi di Giugliano, «morte bianca da "ecomafie"».Disastro endemico, scandalo endemico. Che oggi desta ancora più preoccupazione. Perché dopo anni di mortiferi veleni respirati dagli abitanti, si cominciano a vedere in modo crescente i drammatici effetti sanitari. E perché quel «fumo nero, denso e acre» non accenna a diminuire, anzi in questi mesi sta accentuando la sua mortale presenza. Ma c’è un terzo motivo per essere molto preoccupati. È il vasto disinteresse nei confronti di questa gravissima situazione. Sembra che risolta (ma poi lo è davvero? Davvero basta inviare i rifiuti fuori regione o fuori Italia per sostenerlo?) l’emergenza rifiuti a Napoli, non ci siano più problemi. È sufficiente non veder più cumuli di immondizia nel centro del capoluogo per far finta che non ci siano più anche quelli che, invece, continuano a costellare le strade della provincia, proprio quelli che poi vengono incendiati dopo un ulteriore "ricarico" con rifiuti pericolosi e tossici. Perché dove c’è monnezza è poi facile "nascondere" ben più terribili veleni. La camorra lo sa bene e in questo modo gestisce i suoi "inceneritori" a prezzi stracciati, anche per i veleni del Nord.Bisognerebbe tenere gli occhi ben aperti, quelli dei controlli e quelli dell’informazione, ma entrambi faticano a restare concentrati. Eppure il problema sta suscitando, ed è giusto che sia così, una sempre più forte reazione tra i cittadini del "triangolo della morte". Se ne parla nei paesi e si impegna la Chiesa più colpita, quella di Aversa, col suo vescovo Spinillo. Ci si comincia a mobilitare (ieri abbiamo raccontato di una inusuale raccolta di firme a Casapesenna, centro del potere camorrista), ci si rimbocca le maniche. E si fa. Lo conferma il premio "Comune riciclone" di Legambiente ricevuto ieri dal Comune di Acerra passato in poco più di un anno dal 10 al 62% di raccolta differenziata. E fatta a regola d’arte. Così, grazie a questo, ai maggiori e rigorosi controlli, alle esemplari "punizioni" per chi sgarra e ai "premi" per i cittadini virtuosi, in quel Comune (56mila abitanti) i fuochi sono scomparsi o quasi. Ma purtroppo è l’unica realtà locale nelle province di Napoli e Caserta.Insomma, la ricetta esiste anche se in pochi (e non abbastanza sostenuti) usano i farmaci per curare questa malattia che lasciata dilagare diventa mortale. Questa terra, "Campania felix", "Terra di lavoro", ancora stupisce coi suoi frutteti carichi di albicocche, susine e mele annurche, con la secolare cultura della vite asprina, "vite maritata", con la mozzarella di bufala famosa in tutto il mondo. E anche con tanta gente disposta a cambiare cronaca e storia, nella lotta alla camorra, e nella battaglia contro gli ecomafiosi e i loro fuochi velenosi. Hanno già pagato tanto. Troppo. Non vanno lasciati soli. Noi, per la nostra parte, ci siamo e ci saremo. Sicuri che questo è il tempo per dare una svolta. Non solo per astratta solidarietà, ma per una questione di verità, di giustizia e di vita.
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