Mentre la sconfinata infosfera che tutto avvolge s’infiammava per la questione dei bombardamenti del regime di Assad per liberare Douma dai ribelli, asserragliati nell’ultima loro roccaforte nelle vicinanze di Damasco; mentre si discuteva sulla non chiara vicenda dell’uso di bombe chimiche nell’attacco dell’esercito siriano; mentre nelle cancellerie occidentali si analizzavano i modi più efficaci per punire il presidente che non sorride mai; mentre il suo collega a stelle e strisce inviava tweet al vetriolo contro «l’animale di Damasco»; mentre il consiglio di sicurezza dell’Onu naufragava per l’ennesima volta nel suo ruolo di protettore della pace per i veti incrociati delle grandi potenze; mentre l’opinione pubblica internazionale si divideva via social tra colpevolisti e innocentisti, tra interventisti e attendisti...
Mentre tutto ciò accadeva, come in un’enorme Risiko planetario, mi sono trovato sotto i cieli siriani in mezzo alla gente comune, ai poveri, agli impauriti, ai mutilati, portato in giro per il Paese da uno sgangheratissimo tassì guidato da un gentilissimo tassista, da Damasco, a Homs, ad Aleppo, passando da un posto di blocco all’altro, osservando la presenza di una quantità impressionante di uomini in divisa, quasi tutti disarmati e affaticati, a dire il vero. Sono stato proprio nelle tre città dove missili e bombe hanno colpito con attacchi dichiarati o negati ma reali, dalla più che dubbia legittimità internazionale; su queste città sono caduti missili e bombe Usa, francesi, inglesi e probabilmente israeliane, col sostegno logistico anche della nostra Repubblica. Mentre tutto ciò accadeva, senza che si avvertissero particolari fremiti in una popolazione che da 7 anni scruta il cielo e aguzza l’udito per capire quanto il pericolo sia vicino, ho potuto ammirare l’eroismo di cristiani, alawiti e musulmani sciiti e sunniti.
Ho visto gente che in silenzio si occupa di ammalati senza più un centesimo per comprare la dose necessaria di chemio da mille dollari a iniezione. Ho apprezzato uomini e donne che si prendono cura dei più piccoli traumatizzati dalla paura lunga un’intera vita, la loro. Ho visto militari che, a modo loro, pur nella fedeltà ai superiori, hanno fatto la scelta della non-violenza assoluta. Ho accompagnato suore che vivono di pura misericordia e con le pallottole cadute sul loro ospedale realizzano croci, un estremo atto di pacificazione e perdono nell’identificazione al Cristo abbandonato. Ho preso il caffè con muftì che sotto le bombe hanno applicato il «silenzio che parla» e hanno lasciato sempre la luce accesa a casa loro, «per rassicurare gli smarriti». Ho conversato con preti che s’inventano musicisti per aiutare il ritorno alla normalità del popolo che non ha santi a cui votarsi nel cielo della politica. Ho udito la testimonianza di insegnanti che hanno cercato di dare un senso alla vita dei loro allievi colpiti dalla morte di una di loro e dall’amputazione della gamba di un’altra compagna (un razzo caduto sullo scuolabus), vite che sembravano non avere più senso...
Sotto il cielo di Siria ho incontrato pure un uomo «con la mimetica macchiata di porpora», l’unico nunzio cardinale al mondo, «un riconoscimento del Papa al popolo siriano», come lui stesso ammette. Mario Zenari mi riceve, assieme al «politico in carrozzina» Massimo Toschi, in una nunziatura anch’essa ferita da un colpo di mortaio (era il 5 maggio 2013): «Qualche minuto più tardi sarei probabilmente stato colpito nel terrazzino dove solitamente uscivo a pregare», precisa il nunzio.
Affabile e franco, il cardinale Zenari spiega l’oggi cominciando con un’impietosa requisitoria contro il Consiglio di sicurezza dell’Onu: «Ci sono gli ingredienti, ormai, per un incendio regionale e internazionale spaventoso, mentre l’Onu non riesce a far altro che a riunirsi per uscire poco dopo dai conciliaboli con una reiterata frustrazione, devastante per la pace mondiale. Non riescono nemmeno a mettersi d’accordo per dare il giusto spazio agli organismi preposti al controllo dell’uso delle armi chimiche! È di alcune settimane fa la notizia di mercenari russi rimasti uccisi a Raqqa, probabilmente da armi statunitensi: ciò ci dice che un incidente può sempre sfuggire al controllo e aprire l’irreparabile scenario di un conflitto mondiale. Siamo in una spirale di verità e controverità dalle bestiali contraddizioni. La guerra siriana è molto sporca, non c’è da credere a nessuno».
Un diplomatico per sua natura evita di prendere posizioni troppo manichee. Zenari non fa eccezione («il presidente Assad ha le sue grandi responsabilità, come le hanno i tanti altri attori sulla scena militare siriana»), mentre prende le difese senza se e senza ma dei siriani, dei deboli, dei poveri: «La situazione umanitaria è spaventosa. Non c’è famiglia che nelle zone di guerra non abbia da contare qualche morto, o ferito, o una separazione, o una fuga da casa. Il 69 per cento della popolazione vive ormai in condizione di 'estrema povertà'. I cristiani, in particolare, possono e debbono lavorare nel campo della solidarietà, e lo fanno già in molti modi a dire il vero. È il momento opportuno per non fare distinzioni tra cristiani e sunniti e alawiti. Ho udito un anziano islamico che, in coda per ricevere aiuti alla Caritas, diceva: 'Allah è grande! Gli infedeli sono venuti ad aiutarci!'. C’è bisogno di questa presenza cristiana che accoglie e unisce i cuori. Tra l’altro, quest’azione di misericordia sarà il lasciapassare per un futuro di pace in queste terre proprio per i cristiani. Ora bisogna andare nel Ghouta, bisogna andare a Douma...». En passant, precisa il suo pensiero sui corridoi umanitari: «Hanno senso se vanno a pescare i più deboli, quelli che non hanno più nessuna possibilità di restare».
Non si sottrae ad alcuna domanda, il cardinale, nemmeno a quella scomoda che riguarda i cristiani che se ne vanno dalla Siria per via della guerra («ormai sono ridotti al 4 per cento della popolazione, ad Aleppo erano 150 mila e ora sono rimasti in poco più di 30 mila»), per via della diserzione dei giovani da un servizio militare che equivale a partire al fronte, per via del lavoro perso e dell’insicurezza: «Non si può parlare di una persecuzione dei cristiani in Siria. La sofferenza è trasversale, i morti sono in massima parte musulmani. 500 mila ammazzati, un milione e mezzo di feriti, 6 milioni di profughi all’interno o all’esterno, 34 per cento delle case distrutte o inabitabili: questi sono i numeri. Forse in tutto i 'martiri' cristiani stanno sulle dita di una mano. Sono al corrente di tre parrocchie cristiane che continuano ad operare a Idlib, sotto al-Nusra e le altre compagini dei ribelli: hanno certo dovuto togliere i simboli religiosi dall’esterno delle chiese, le donne hanno dovuto mettere il velo, le liturgie non possono aver luogo fuori dai luoghi di culto… ma i cristiani anche a Idlib possono ancora vivere. Non è accaduto come in Iraq o in Egitto, salvo episodi incresciosi ad opera di mercenari non siriani». Il cardinale Zenari lancia quindi un appello: «Siate responsabili cristiani di Siria! La libertà di andarsene è di tutti, non può essere negata a nessuno. La coscienza va rispettata. Ma il rischio è uno svuotamento della Siria dai cristiani, e poi a cascata anche di altri Paesi, come il Libano. Serve misericordia con chi se ne va, ma bisogna anche capire che i cristiani di qui hanno una responsabilità grande: senza di loro il Paese perde una finestra sul mondo, il Paese perde la neutralità universale garantita dai suoi cittadini cristiani». E racconta di alcuni capi-villaggio musulmani che sono saliti in nunziatura «per manifestare il loro dispiacere perché i cristiani se ne erano andati dai loro paesi».
Il realismo del cardinale Zenari è tale da non poter nutrire un facile e semplicistico ottimismo, in un Paese che vede «i cinque più forti eserciti al mondo» schierati sul campo: «Il mosaico siriano aveva senso quando ogni tassello si interessava agli altri tasselli, il giallo al verde, il blu al rosso. Se i singoli tasselli non si interessano più agli altri tasselli e guardano solo a se stessi il futuro di convivenza rischia di non essere più praticabile. La guerra destabilizza il mosaico. Bisogna lavorare a una maggior partecipazione alla cittadinanza comune. Ma questo richiede un clima sociale post-bellico più sereno. Come dicevo, noi cristiani in questo momento possiamo creare un clima favorevole alla ripresa della vita di cittadinanza collaborando senza far distinzioni alle operazioni umanitarie e solidaristiche». Zenari conclude il nostro incontro con un’esortazione che è una decisione: «Usciamo col cuore, usciamo con le mani».