Da Milano sono 470 chilometri in auto, e neanche troppo diritti, tra le montagne dei Grigioni. Abbiamo passato la frontiera a Chiasso, oltre Bellinzona abbiamo preso a salire verso il passo del San Bernardino. Muri di neve ai lati della carreggiata, e all’orizzonte, incombenti, vertiginose cime candide; alle dieci di mattina il fondovalle ancora nell’ombra, e noi, mediterranei, intimoriti sotto a quelle cattedrali di ghiaccio. Pioggia, poi, una bufera, e nebbia, da non vedere dove andavi; e neve anche, l’ultima neve di marzo che schiaffeggiava a folate il parabrezza. Traversata la Svizzera, sfiorato il lago di Costanza, varcato il Reno, siamo sbucati in Austria, e poi in Germania. Le verdi vallate della Baviera, non così dissimili dal nostro Veneto, ci hanno, dopo tanto ghiaccio, allargato il cuore. Mancava poco ormai, sull’autostrada che correva verso Monaco: una deviazione a nord, 40 chilometri, e eccoci. Sei ore. Siamo a Augsburg, pellegrini da Maria Knotenlöserin, la Vergine che scioglie i nodi.
È da quando avevamo letto della predilezione del Papa per questa immagine che ci eravamo, mio marito e io, ripromessi di venire qui. Attratti da questa Madonna barocca dipinta nell’atto di districare i nodi dei lunghi nastri che degli angeli le porgono. Ci piaceva, questa idea di mani materne che allentano, sbrogliano vecchi irrigiditi nodi. (E chi non ne ha poi, di nodi? Ciascuno si custodisce gelosamente i suoi, dicendosi che, per quelli, non c’è nulla da fare).Così ci siamo messi in viaggio con le nostre matasse ingarbugliate – e anche col cane di casa, giacché non sapevamo a chi lasciarlo. Un ben scoordinato equipaggio, senza il navigatore né alcun senso dell’orientamento; e ad ogni svincolo, accese discussioni – di qui, di là, torna indietro – il cane, dietro, inquieto. D’altronde, mi sono detta, anche gli antichi pellegrini della via Francigena talvolta faticavano a orientarsi, e anzi il discernere la giusta strada è, dei pellegrini, la prima fatica.Augsburg, finalmente, in un timido sole. La Augusta dei Romani. Dopo le bombe della guerra l’hanno ricostruita simile a com’era: una chiara, ordinata cittadina dal sapore asburgico. Ma, nelle strade piene di vita e di ragazzi, nessuno che sappia dove è, Maria Knotenlöserin. Chiediamo allora di St. Peter am Perlach, la chiesa che la custodisce. E ancora facce perplesse; solo una donna infine ci sorride e ci indica la direzione.
St.Peter am Perlach, in Peutingerstrasse 16, è una piccola chiesa fra le case addossate alla monumentale Rathaus, il municipio, che si fregia ancora dell’aquila imperiale. Venendo dalla periferia si può passarle davanti e non accorgersene, giacché dove dovrebbe essere l’ingresso centrale c’è un negozio di orefice, e, accanto, una stube dove si beve birra ai tavoloni di legno. Solo alzando gli occhi ci si vede sormontati dall’alto campanile. Una chiesa che forse nemmeno tutti, qui, conoscono. Eppure Jorge Mario Bergoglio, in Germania per i suoi studi alla fine degli anni ’80, entrando qui si affezionò a questa Madonna – tanto da portarne una immagine in Argentina, dove la Vergine che scioglie i nodi è ora venerata a Buenos Aires e altrove. Dentro, St. Peter am Perlach è divisa in tre brevi navate; muri bianchi, odore di legno. La Vergine sta in fondo alla navata destra; è un quadro nemmeno tanto grande. L’icona però è inconsueta: Maria non regge fra le braccia il Bambino, ma in piedi sopra a una falce di luna nascente dipana i nodi dei nastri che schiere di angeli le porgono, e intanto schiaccia sotto a un piede un serpente, pure annodato nelle spire (Genesi 3, 15: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno»). Sotto alla Vergine, piccole e difficilmente distinguibili sulla tela scurita dal tempo, si scorgono a fatica un vecchio e un angelo, e più confusamente ancora un cane. Tobia accompagnato dall’arcangelo Raffaele che va a chiedere Sara in sposa? La Madonna venne dipinta attorno al 1700 da Johann Georg Melchior Schmidtner su commissione di un canonico del monastero di St.Peter, Hieronymus Ambrosius Langenmantel. La tradizione narra che il nonno di questo canonico, Wolfgang Langenmantel, anni prima fosse in procinto di separarsi dalla moglie Sofia, quando la preghiera di un sacerdote gesuita riuscì a salvare il matrimonio. (Si usava a quei tempi in Baviera legare le mani degli sposi con un nastro, e a questo alluderebbe la Vergine di Augsburg). In realtà, l’iconografia di questa Madonna riporta anche a una espressione di sant’Ireneo da Lione nella sua opera «Adversus Haereses», espressione poi ripresa dai padri del Concilio Vaticano II nella Lumen gentium. Per sant’Ireneo dunque «il nodo della disobbedienza di Eva venne sciolto dalla obbedienza di Maria; ciò che Eva aveva annodato con la sua mancanza di fede, Maria lo sciolse con la sua fede». Un’espressione cara al Papa, che spesso la cita.
Fin qui la storia di questa piccola Madonna barocca. In questo pomeriggio nella navata laterale si nota un modesto ma costante flusso di pellegrini; uno alla volta, due, come uno sgocciolio che però non si arresta. Quasi tutti anziani. Alcuni hanno in mano il foglietto di una novena a Maria Knotenlöserin. Si inginocchiano sugli scranni e si coprono, pregando, il volto con le mani. Chissà, pensi, i nodi che hanno in sé questi ottantenni, ex ragazzi degli anni del nazismo e della guerra. Il mattino dopo alle nove, come tutti i giorni, c’è messa. La piccola chiesa ora è piena. Il celebrante è anziano. Lo raggiungiamo dopo la funzione, in canonica. Si chiama padre Gunter Grasse e parla solo tedesco. Col sagrestano che fa da interprete gli chiediamo se sa di miracoli compiuti dalla Vergine che scioglie i nodi. Lui scrolla la testa: «Non miracoli», risponde. «Ma – dopo una breve pausa, e con un leggero sorriso – grazie spirituali», dice. (Come accennasse a un prezioso segreto). Grazie spirituali, forse in verità le più grandi. Sapere e sapersi perdonare, trovare la fede, il coraggio, e conforto nella solitudine. Guardo quei vecchi in ginocchio davanti a Maria Knotenlöserin: ognuno di loro un mistero, coi suoi remoti nodi da slegare.
Ce ne usciamo dalla chiesa in un sole primaverile. La piazza davanti alla Rathaus è colma di gente, vociante di ragazzi, intensamente viva. Forse molti di loro neanche sanno di quella piccola Madonna della chiesa di Peutingerstrasse 16. Chissà come l’ha trovata, poi, quell’ignoto sacerdote gesuita, quasi trent’anni fa. Di certo non per un’ apparenza vistosa. Un angolo di quiete invece, come un abbraccio materno nel cuore di una indaffarata città bavarese. La luna nascente, il serpente schiacciato e i nastri porti dagli angeli, lunghi e intricati come solo gli uomini li sanno annodare. E quelle tre piccolissime figure lì sotto, il vecchio, l’angelo, e il cane – che, noto, somiglia al nostro, o almeno è di altrettanto incerti natali. Lo vedi allora, che anche tu dovevi venire, dico al mio mentre ce ne andiamo, e sorrido, fra me.
Post scriptum.A distanza di oltre un mese dal nostro pellegrinaggio a Augsburg, devo riconoscere che due "nodi" antichi si sono sciolti per me e per una persona cara in queste settimane. Questioni, come diceva l’anziano sacerdote di Augsburg, spirituali: modi di guardare il mondo, o di guardarsi. Lo scrivo a onor del vero, io che, al fondo, convivo sempre interiormente con un cocciuto San Tommaso.