Ieri il bilancio provvisorio dei morti fra i sacerdoti era di almeno trenta vittime – di cui ben tredici nella sola diocesi di Bergamo. Nessuno, come tutti gli altri falciati dall’epidemia, ha avuto funerali. «A me vescovo e a pochissimi altri spetta l’attesa della salma in cimitero», ha scritto ai fedeli Enrico Solmi, vescovo di Parma, dove sono morti ben cinque sacerdoti, oltre a un missionario saveriano.
E pare di vederlo, il vescovo in piedi accanto a una fossa nei viali larghi del cimitero padano, sotto al cielo di marzo già chiaro. Solo, a salutare i suoi uomini che se ne vanno. Il più giovane aveva 55 anni, il più anziano, don Franco Minardi, 94, di cui settanta passati in parrocchia. Settant’anni, dal Dopoguerra in poi, a battezzare, celebrare nozze, confessare, benedire i morenti. Settant’anni di Messe domenicali, e le facce dei primi bambini che crescevano, diventavano padri, invecchiavano. L’Italia intanto cambiava totalmente, mentre in confessionale i peccati erano sempre, monotamente, quelli.
E ogni volta, al letto di chi moriva, tracciare un ampio segno di croce. In tanti anni don Franco e gli altri, i suoi conterranei don Giorgio e don Pietro, e i preti morti a Lodi, Crema, in Piemonte, a Milano, a Brescia, in tanti anni, quanti funerali? Ma per loro no. Si farà poi una Messa di suffragio, ma, intanto, se ne sono andati al camposanto soli, senza il conforto che è almeno, attorno a una bara, il dolore e il ricordo dei vivi. Soli come se non li avesse conosciuti nessuno, quando sono stati cari a interi paesi e città. Ultima offerta a Cristo, quella estrema solitudine, la mancanza di rito, di Eucarestia, di volti amici.
Quasi come militi ignoti seppelliti senza chi li ama attorno, i vecchi preti portati via in questi giorni. Una breve preghiera e i passi del vescovo che se ne va, nel silenzio. Scrive Solmi: «Sono tra le fasi più dolorose della vita di un povero vescovo come me, sostenute dalla certezza della Resurrezione, della Vita eterna, invocando ancora forza per il gregge e il pastore e Luce per essere condotti là dove il Signore ci indica, procedendo come lui vuole».
E sembra di vedere un uomo che, piegato da un lutto inimmaginabile, riprende il suo bastone di vescovo e torna in città, dove i vivi lo aspettano. Sicuro, nella fatica, della Resurrezione, e della Vita promessa; e che questo cimitero vuoto non è abbandono, ma domanda di sequela fiduciosa – anche se noi non sappiamo, anche se non capiamo.