L’iniziativa del Brasile di Lula per fermare la guerra in Ucraina e per rilanciare l’Onu è una novità davvero significativa. Non è tacciabile di ambiguità, come la pur importante proposta della Cina. Indica con chiarezza l’obiettivo per porre fine alle ostilità in vista di un tavolo di pace. Dà voce al punto di vista del “Sud” del mondo sul conflitto che oppone l’Occidente atlantico a un Oriente eurasiatico e che l’invasione decisa il 24 febbraio 2022 da Mosca ha fatto esplodere. Questo punto di vista che va preso seriamente in considerazione anche nella sua insofferenza – che spiega il non allineamento alle posizioni atlantiche – alla resistenza, che viene specialmente da Usa e Gran Bretagna (con al seguito Polonia e Paesi baltici), a un governo multilaterale dei processi in atto della globalizzazione.
Siamo sempre molto attenti a capire e giustificare risentimento e diffidenza dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia dopo quarantaquattro anni di sudditanza al “mondo russo” recintato dall’Urss, ma facciamo fatica a capire qualcosa di molto simile in un Sud del mondo che ha vissuto una predominanza – e usiamo un eufemismo – occidentale per un lasso di tempo almeno dieci volte maggiore. È ora che prendiamo atto che il mondo è cambiato, e proprio se vogliamo continuare a essere come Occidente un punto di riferimento cooperativo nella governance pacifica di cui ha bisogno il mondo sempre più interdipendente che abitiamo.
Da questo punto di vista, sarà stata pure infelice nei termini e nei modi, e soprattutto sprezzante verso Zelensky, ma l’uscita di Silvio Berlusconi sulla pace, che ancora di recente il capo della diplomazia russa Lavrov ha lodato come «ragionevole», e che cioè i soldi l’Occidente dovrebbe metterli per un piano Marshall di ricostruzione piuttosto che su forniture di armi per una guerra che non può risolversi sul campo, a meno di non imbarcarsi nell’azzardo nucleare, è meno peregrina di quanto possa esser sembrato. E si fa torto alla realtà, derubricandola a marketing elettorale a uso interno, che magari pure ci sarà stato, per non mettere in imbarazzo la linea ufficiale del governo di sostegno incondizionato al mainstream attuale dell’atlantismo.
Forse è davvero il momento – come anche “Avvenire”, offrendo cronache e non propagande, invita a fare sin dall’inizio delle ostilità – che ognuno coltivi, nel suo campo, o sulla trincea su cui ha deciso di collocarsi, i se e i ma, il beneficio che dal dubbio può venire a questa situazione. Ma ci si può spingere oltre: paradossalmente, mentre è stata costretta a smentirlo, non ha avuto tutti i torti Giorgia Meloni a dire che Berlusconi è stato il miglior ministro degli esteri che l’Italia abbia avuto negli ultimi anni. Mestiere che l’ex premier non ha mai fatto, ma evidentemente la premier in carica pensava a Pratica di Mare, al maggio del 2002, quando Berlusconi riuscì a far stringere la mano a Bush e Putin, dichiarando poi – illudendosi – di aver fatto finire per davvero la guerra fredda.
Quello fu un modo mercantile, informale, in assenza di trattati internazionali chiari, nero su bianco, sull’assetto dell’Europa dopo la caduta del Muro di Berlino, di imbastire un marketing di pace. Era un’illusione nel lungo periodo. La guerra fredda veniva messa solo nel congelatore, come oggi è evidente. Il surrogato “commerciale” ad accordi di pace preventiva, nero su bianco, con trattati internazionali di compromesso – dove le potenze si con-promettono, si promettono insieme un qualche status di relazioni sostenibile per il bene dei loro popoli, è una lezione famosa di Joseph Ratzinger ai politici tedeschi del 1981 – non funziona.
Il marketing di pace tra grandi potenze non può fare a meno di accordi internazionali politico istituzionali, e il tavolo economico è solo uno dei tavoli necessari, e almeno quello della reciproca sicurezza è imprescindibile.
Questo è un punto di evidenza che non si può più mettere da parte, e sarebbe ora di passare dalle bottiglie di vodka alle matrioske, metafora più utile a capire la situazione in Ucraina e a porvi riparo. Le matrioske sono le famose bamboline cave in legno dipinto di grandezza variabile, ciascuna delle quali inseribile in quella immediatamente più grande.
Le matrioske funzionano solo se sono inseribili l’una nell’altra, se non si vuole romperle. In Ucraina, nella prima matrioska, quella della guerra, la scena dipinta dà certo torto a Putin, l’aggressore. Ma quando la si prova ad inserire nella seconda più grande matrioska, l’Europa, e quello che dopo il 1989 avrebbe dovuto essere dipinto sulla sua superficie, e cioè accordi di pace rispettabili e rispettati da tutti, la prima matrioska non si fa inserire con facilità nei ragionamenti faziosi che si sentono da ogni parte.
E infine questa seconda matrioska ha il problema urgente di inserirsi nella terza più grande matrioska che le contiene, gli assetti geopolitici globali in subbuglio. Cosa deve esserci dipinto su questa matrioska generale? La competizione globale sul piano economico e più in generale nei rapporti tra le grandi potenze atomiche può prevedere scene belliche come quella in Ucraina, o tali scene devono essere messe al bando perché non c’è artista al mondo in grado di dipingerle senza mandare in frantumi tutta la matrioska? Ecco, in modo mercantile il vecchio Berlusconi ha posto un problema di questo tipo. In modo più consapevole, geopolitico, un punto non dissimile argomenta Henry Kissinger.
Non sempre i “nonni” hanno torto a fronte dei loro baldanzosi nipoti, che dovrebbero rispondere al quesito che nei giorni di Sanremo Roger Waters – co-fondatore, pensate un po’, dei Pink Floyd – ha posto all’Onu ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza: «Quali sono i vostri obiettivi? Maggiori profitti per le industrie belliche? Più potere a livello globale? Una fetta più grande della torta globale? La Madre Terra è una torta da divorare? La maggioranza senza voce è preoccupata che le vostre guerre distruggeranno il pianeta, che è la nostra casa, e insieme ad ogni altro essere vivente saremo sacrificati sull’altare di due cose: i profitti della guerra per riempire le tasche di pochi, pochissimi, e la marcia egemonica di qualche impero o l’altro verso il dominio mondiale unipolare. Per favore, rassicurateci che questa non è la vostra visione, perché non c’è alcun risultato positivo su questa strada. Questa strada porta solo al disastro». Nulla da aggiungere,