La lenta morte di Lorenzo e domande da non tacere
venerdì 21 febbraio 2020

«Lo abbiamo visto spegnersi lentamente, senza poter fare nulla per salvarlo», lo hanno voluto dire a tutti i genitori di Lorenzo, il ragazzo morto per anoressia. E la foto che lo ritrae giovane e bello, abbracciato alla sua mamma, fa venire un nodo alla gola e sgomenta, perché pensi ai tuoi, di figli, e ti immedesimi in quella mamma impotente, che non ha potuto fare niente mentre vedeva suo figlio morire pian piano, e ti chiedi: 'Perché?'. Leggiamo molta empatia sui giornali, la vediamo persino in tv: solidarietà sincera con quei genitori, spiegazioni sul fatto che guarire dai disturbi alimentari si può ma è lunga.

E c’è purtroppo accordo fra gli esperti nel dire che manca l’assistenza adeguata, che sono insufficienti i punti di cura per questo mostro che assale tante ragazze e tanti ragazzi spezzando-li, quando invece dovrebbero fiorire. Ma non è stato questo il problema di Lorenzo: la sua vicenda ci dice ben altro. Il giovane aveva già superato una prima fase della malattia, con un lungo ricovero in una struttura specializzata, ed era riuscito a uscirne; la famiglia non aveva problemi economici, era in grado di affrontare di nuovo un percorso di cura. Ma insieme alla ricaduta per Lorenzo era arrivata la maggiore età, e quindi era 'libero' di lasciarsi morire.

Come Noa, la ragazzina olandese di diciassette anni che, mesi fa, ci ha scosso: i casi non sono diversi nella sostanza, se non che in Olanda il consenso autonomo per i trattamenti sanitari si può dare già a 16 anni, e accanto a lei c’era un medico che la sedava, mentre la guardava morire. Il vero nodo della questione è lo stesso, che si fa fatica ad affrontare: Lorenzo poteva rifiutarsi di mangiare e bere, e nessuno poteva costringerlo a farlo.

E neppure poteva essere sottoposto a un ricovero obbligatorio, se non con l’intervento di un giudice, con un Tso ( Trattamento sanitario obbligatorio) per il quale, evidentemente, in questo caso non c’erano gli estremi: era maggiorenne, in grado di prestare il proprio consenso informato alle cure, quindi libero di entrare e uscire da qualsiasi struttura sanitaria, quando lo volesse. Era sì malato, ma capace di sostenere un colloquio con un medico, comprendere le informazioni che gli venivano date, e decidere di conseguenza. Era quindi 'libero' di accettare o rifiutare tutto, sia trattamenti sanitari che cibo e acqua. 'Libero' di andare a morire.

E adesso qualche domanda ce la dobbiamo fare, lo dobbiamo a quei genitori che hanno voluto rendere pubblico il loro dolore. È vero che una persona maggiorenne, se è in grado di comprendere tutte le informazioni che gli vengono date, di conseguenza è libera di scegliere? E se sceglie per sé il male: i medici, i parenti, tutti noi, possiamo o no fare qualcosa? Perché su questo si innesta il consenso informato, che – ricordiamolo – nasce a seguito del processo di Norimberga, dove alla sbarra c’erano anche medici nazisti per i loro esperimenti sui prigionieri nei lager.

L’ovvio sottotesto è che se quelle persone fossero state libere di scegliere non si sarebbero mai sottoposte a quelle torture. Il consenso informato nasce, infatti, per tutelare ogni essere umano, per garantirne l’inviolabilità da parte di chiunque, essenziale per dire di essere liberi. Ma una persona malata, in questo caso di anoressia, è veramente libera quando 'sceglie' di non mangiare? E chi stabilisce quando una persona è libera di scegliere? Può un medico stabilire se le decisioni di una persona sono libere, oltre che consapevoli? È evidente che si può scegliere consapevolmente qualcosa senza essere veramente liberi di farlo, ma costretti dalle circostanze della vita, per esempio la propria condizione economica, o la propria fragilità psichica, o una malattia da cui si è colpiti. Le persone che l’11 settembre a New York si buttavano dalle torri gemelle in fiamme lo facevano consapevolmente, non certo liberamente, tanto per fare un esempio.

Cosa sta 'scegliendo' veramente una persona anoressica, quando decide di non mangiare? È un 'libero' rifiuto di cibo, nella illusione di essere sempre in grado di controllare il proprio corpo e quindi di tornare indietro, solo se lo si vuole, oppure è una scelta di morte? E noi, come ci poniamo davanti a tutto questo? È possibile lasciar morire un ragazzo di venti anni perché 'liberamente' rifiuta il cibo, e sappiamo che è una malattia, la sua? Di fronte a cifre da capogiro come quelle che leggiamo in questi giorni – 3mila persone che muoiono ogni anno per disturbi di questo tipo, l’anoressia seconda causa di morte fra i 12 e i 25 anni – di fronte al grido dei genitori di Lorenzo, non possiamo nasconderci dietro al consenso informato di un maggiorenne. Rischiamo in questo modo di ridurre uno strumento importante a un inutile feticcio, una vuota liturgia.

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